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«Il Mediterraneo culla della cultura da noi dimenticata»

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«Fabrizio aveva il colpo di co­da dell’intelligenza. Cu­po spesso, ma se era in forma riusciva a farti morire dal ridere. In questo era imbattibile. Mi manca tanto per cosa facevamo, ma anche per le stupidaggini che dicevamo». Insomma una battuta giusta, spesso, era il suggello sintetico, l’essenza più concentrata del rapporto tra Mauro Pagani e Fabrizio De André. I due in questione si incontrano per questo progetto all’inizio degli anni ottanta e vanno avanti per almeno tre lustri escogitando, è il caso di dire proprio così, alcuni album che sono rimasti fra le pietre miliari della canzone d’autore italiana. Uno su tutti “Crêuza de mä”, del 1984, è un lavoro considerato, anche a livello di critica internazionale, co­me uno dei migliori lavori di world music mai pubblicati.

Oggi, a quarant’anni dalla sua uscita, e a venticinque dalla scomparsa di Faber, Mauro Pagani riparte con un tour in diverse località italiane per riproporre l’opera scritta a quattro mani col cantautore genovese “2024 Crêuza de Mä in Tour”. Ma non solo, anche per spaziare nel suo repertorio, cinquant’anni di attività fin dai tempi del rock progressive della Premiata Forneria Marconi e del Fe­stival del Proletariato Gio­vanile a Parco Lambro.

Tra allora ed oggi il nome di Pagani lo si ritrova dappertutto nel panorama della musica d’autore italiana co­me autore, arrangiatore, in­terprete, compositore, polistrumentista anche se oggi predilige il suono del bouzouki. Come session man di flauto e violino incontra nell’estate del 1970 la Pfm, anzi I Quelli (il nome precedente del gruppo) proprio durante la registrazione dell’album di Fabrizio De An­dré “La buona novella”. Non c’è praticamente nessuno in Italia, nel mondo musicale degli ultimi decenni, che non gli debba qualcosa.

Due le date piemontesi del tour: la prima, sabato 20 luglio, ore 18, alle Capanne di Marcarolo, a Bosio, in provincia di Alessandria, per Attraverso Festival 2024, la rassegna ideata e diretta da Paola Farinetti; la seconda, sabato 3 agosto, ore 21,30, all’auditorium Horszowski di Monforte, ultima data della stagione per MonfortinJazz (biglietti su Mailticket e Ticketone).

Non le pare che “Crêuza de mä”, col suo racconto del mare, delle rotte, degli uomini, delle barche, dopo quarant’anni sia ancora molto attuale?

«Attuale lo è certamente perché si parla sempre di Me­diterraneo. Però oggi è un cimitero per le persone che scappano e che non possiamo assolutamente fermare. Ci siamo dimenticati che il Mediterraneo è stata la culla della nostra cultura millenaria. Oggi ci ricordiamo magari delle repubbliche marinare, del cibo, del folklore, ma forse abbiamo dimenticato quale sia stato il ruolo, so­prattutto per l’Italia, della cultura che è nata sulle sponde e sulle onde del nostro mare. Paghiamo il nostro atteggiamento nei confronti del terzo mondo, un atteggiamento coloniale, dove abbiamo preso tutto e, giustamente, chi scappando viene da noi vuole che gli venga restituito qualcosa».

Musicalmente è un album dove c’è rock, tanta world music, c’è folk, il tutto fuso in uno stile personale. Uno stile Pagani?

«Beh, grazie per la definizione! Ma “Crêuza de mä” è frutto anche di un lungo ascolto per una generazione come la mia che, negli anni Settanta, voleva capire e incontrava i generi che allora si diffondevano nel mondo. Poi il mo­mento della nascita del progetto con Fabrizio è stato fondamentale. Lui era in un frangente della sua vita personale ed artistica dove voleva cambiare qualcosa. Ci siamo trovati al momento giusto».

Il vostro è stato un rapporto subalterno? Complemen­tare?
«Fabrizio era esigente, era anche brontolone, a volte si faceva fatica. Ma si partiva da una forte idea comune. C’era molta voglia di fare e quando abbiamo capito che avevamo raggiunto il momento perfetto abbiamo deciso».

Inserito da Rolling Stone Italia al quarto posto nella classifica dei 100 dischi italiani più belli di sempre, è anche considerato da Musica e Dischi come il miglior al­bum italiano degli anni ot­tanta. Ma anche a livello in­ternazionale ha ricevuto riconoscimenti di rilievo. David Byrne, il leader dei Talking Heads lo ha definito come uno dei “dieci migliori album di quel decennio”, arrivando a sostenere in un’intervista ad un blog italiano di «non avere più sentito nulla di lontanamente paragonabile a “Crêuza de mä”, che infatti continuo a duplicare – illegalmente! – per un sacco di amici americani».

A Byrne pare affascini anche l’idea di farne una cover: «L’idea mi attira parecchio, e probabilmente l’avrei già realizzata se non fossi stato trattenuto dall’enorme difficoltà di tradurre dal genovese all’inglese! Vedremo in futuro…».
Per Pagani “Crêuza de Mä” è «un album incollocabile nello spazio-tempo, sospeso, scevro da tendenze, arcaico, ma – ribadisce – sempre attuale. Il mio bisogno, di uomo e di artista, di issare le vele, in questi strani giorni, è incontenibile. Le rotte che, scrivendo l’album, immaginavamo solcate da bastimenti carichi di spezie oggi sono, nella realtà, una via di fuga, e per molti, troppi, dall’ingiustizia. Il viaggio da capo, dunque e, se possibile, a un volume ancora più alto, perché tutti ci sentano bene…».

La nave è ripartita, una formazione di sei musicisti con una corista e un corista, «per riproporre – dicono i critici – le avvolgenti sonorità, senza tempo e senza spazio, narrate in un album che ha segnato la storia della musica italiana contemporanea». Pagani è il timoniere, Monforte un porto sicuro.

Articolo a cura di Luis Cabasés

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