Urlo d’innocenza?

Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio della piccola Yara, continua a dirsi estraneo. Ora una docuserie racconta la sua storia, mettendo a fuoco dubbi e incongruenze

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«Era da tanto tempo che aspettavo questo momento. Mi hanno incastrato, non sono un mostro». Parole di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio della tredicenne Yara Gambirasio, scomparsa il 26 novembre 2010 a Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, e ritrovata senza vita tre mesi dopo a Chignolo d’Isola, a dieci chilometri di distanza, in un campo che forze dell’ordine e volontari avevano più volte battuto durante le ricerche.
Il muratore, incensurato, fu arrestato quattro anni più tardi, risultando il suo Dna nucleare sovrapponibile con quello rilevato sugli slip e sui leggins della piccola vittima: si è sempre dichiarato innocente, ma è stato ritenuto colpevole in ogni grado di giudizio. Nonostante il verdetto, il caso ha continuato a dividere l’opinione pubblica e adesso diventa oggetto di una docuserie intitolata “Il Caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio” diretta da Gianluca Neri, e prodotta da Quarantadue. Nelle cinque puntate, come già si comprende dal titolo, affioreranno delle domande sulla colpevolezza di Bossetti, intervistato nel carcere di Bollate da Carlo Gabardini, uno degli autori dell’opera. Colpiscono le sue lacrime quando parla della famiglia e del carcere in cui sconta l’ergastolo, ma la commozione diventa rabbia quando, ricostruendo la sua storia, ricorda un tentativo di estorcergli una confessione: «In isolamento venne a farmi visita un comandante: davanti a un foglio bianco e a una biro disse “dobbiamo arrivare a un compromesso, lei capisce cosa voglio dire? Vuole vedere la sua famiglia o vuole stare qui in questo buco? La smetta, reagisca e metta giù quello che le dico”. Presi il foglio e glielo lanciai addosso. Portarono fuori tavolo e sedia e disse: “Tenetelo chiuso per due giorni e non passate col vitto”».
Incastrato dal Dna, che i suoi legali chiedono ancora di riesaminare, Bossetti in dieci anni non ha mai tentennato, nessuna crepa si è aperta nella sua versione, e benché il magistrato Massimo Meroni spieghi come «Nessun colpevole ammette le sue responsabilità» e ribadisca «La correttezza indiscutibile delle indagini e dell’operato del Ris di Parma» i dubbi restano. «Il fatto che Bossetti abbia sempre proclamato la sua innocenza – continua Meroni – non è una prova di innocenza. In base alla mia lunga esperienza, posso dire che non ho trovato più del 5 per cento di colpevoli che ammettevano le loro responsabilità. La professione di innocenza non è un evento: è una regola». La docuserie, attraverso un lavoro analitico svolto sui 60 faldoni, per un totale di 60.000 pagine, che compongono l’inchiesta, attraverso testimonianze, ricostruzioni e interviste, attraverso materiali inediti, mette a fuoco anche le accuse di depistaggio e i sospetti sui metodi investigativi. Sarà interessante seguire la ricostruzione, soffermarsi su dubbi tenaci pur nel rispetto di una sentenza emessa in fondo a tutti i gradi processuali, e interrogarci, con sensibilità e timore, sulla possibilità di un errore giudiziario e sui suoi effetti. Ma soprattutto sarà importante non dimenticare mai il sorriso di Yara, barbaramente uccisa, e il dolore che accompagnerà sempre la sua famiglia. Era andata in palestra, ha trovato sulla sua strada un assassino senza cuore: secondo una ricostruzione, gravemente ferita, potrebbe essere morta dopo giorni d’agonia.