Quattrocentouno voti a favore, 284 contrari e 15 astenuti. Così Ursula von der Leyen, membro del Partito popolare europeo (Ppe), è stata rieletta presidente della Commissione europea. Era la candidata favorita, ma l’esito non appariva scontato, complici la riduzione del numero complessivo di deputati e la modalità segreta adottata per il voto. «Le scelte definiscono il destino e in un mondo pieno di avversità il destino dipende da ciò che faremo ora – s’è rivolta lei all’Assemblea -. L’Europa è davanti a una scelta decisiva che definirà la nostra posizione nel mondo nel prossimo quinquennio: non può controllare dittatori e demagoghi ma può scegliere di tutelare la nostra democrazia», quindi ha cristallizzato in trenta pagine il suo progetto politico «all’altezza delle preoccupazioni e delle sfide che i cittadini devono affrontare». Dal green all’immigrazione, tema quest’ultimo particolarmente caro alla premier italiana Giorgia Meloni, il cui partito si è schierato contro la rielezione: «Fratelli d’Italia ha deciso di non votare per la riconferma. Siamo rimasti coerenti con la posizione espressa al consiglio europeo di non condivisione del metodo e del merito. Questo non comprometterà la collaborazione su molte materie, come ad esempio l’immigrazione». Meloni ha quindi spiegato di «non aver ragione di ritenere» che la posizione scelta possa «compromettere il ruolo dell’Italia nella Commissione», ma il timore negli ambienti politici serpeggia, temendosi ripercussioni sulla rilevanza nella prossima legislatura: l’Italia, benché terzo per abitanti tra i 27 Stati membri, rischia, collocandosi all’opposizione, di rimanere, tranne che in sede di Consiglio, escluso dai processi decisionali. Sia chiaro, non sono immaginabili vendette, ma è presumibile che su deficit e Pnrr possano non esserci sconti.
Voto contrario anche da Salvini che parla di elezione costruita su un «ennesimo inciucio» e promette vigilanza su temi delicati come sicurezza e lavoro, ma la scelta della Lega era prevedibile, mentre Forza Italia ha sostenuto von der Leyen e Tajani ha chiarito che «essere parte di famiglie europee diverse o aver votato diversamente non avrà alcuna ripercussione sulla stabilità del governo».
La politica tedesca, 65 anni, all’anagrafe Gertrud Albrecht, ma nota con il cognome del marito, si gode il consenso, non badando a convergenze larghe che potrebbero, alla lunga, minare l’unità d’intenti. Figlia d’arte – papà Ernst era ministro e presidente della Bassa Sassonia -, s’è appassionata giovane alla politica che ha coltivato mentre cambiava più volte corsi di studi: archeologia, economia, medicina. Il primo mandato è in Germania arrivato solo nel 2003 e dopo appena due anni era ministra della famiglia con la Merkel. Lo sarà anche della difesa, prima donna nella storia tedesca. Eletta una prima volta al vertice del Parlamento europeo, ha ricordato, ricandidandosi, che «ciò che faremo ora definirà il prossimo quinquennio e la posizione dell’Europa nel mondo per i prossimi 50 anni» e di essere «entrata in politica per cambiare in meglio le cose per tutta la società, per dare una prospettiva alle generazioni dei nostri figli e nipoti». Eletta, sogna «un’Europa più forte, che garantisca prosperità, che difenda la democrazia, che protegga i cittadini e che si attenga agli obiettivi del Green Deal con pragmatismo e neutralità tecnologica».
Il secondo mandato
Ursula von der Leyen rieletta presidente della commissione Europea con il no di Fratelli d’Italia e Lega: linee programmatiche e scenari politici