«La vita e i paradossi nella mia satira ma oggi è difficile»

Rosalia Porcaro sarà premiata a Positano: «Invento personaggi ispirandomi a persone che ho conosciuto»

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Mi chiede se pos­so richiamare di lì a mezz’ora per­ché sta registrando un video da diffondere sui social che invita a sostenere con il 5×1000 la Lega del Filo d’Oro. Teniamo presente. Il pros­simo 1° agosto invece Ro­salia Porcaro, attrice e cabarettista legata a programmi di satira come Convescion, L’ottavo na­no, Zelig, Markette, riceverà il Premio Pistrice – Città di Po­si­tano, arrivato alla dodicesima edi­zione, assegnato dal Posi­ta­no Teatro Festival, diretto da Antonella Morea e in corso dal 28 luglio al 1° agosto e dedicato alla memoria di An­nibale Ruc­cello.

Allora partiamo da Ruccello.
«Ho interpretato il suo monologo “Mamma” proprio a Posi­ta­no, che è il posto della costiera a cui sono più affezionata. Di An­nibale amo la vena struggente e insieme la comicità che riesce a immettere in testi drammatici».

Che è un po’ la cifra di Rosalia Porcaro: come nascono i suoi personaggi?
«Dall’osservazione della realtà che, oltre a essere stimolante di per sé, riesce a essere paradossale».

Infatti si sente spesso dire che la realtà supera la fantasia.
«La sfida è proprio riprodurre la realtà nei suoi aspetti paradossali e la difficoltà è che quando pensi alla riproduzione pensi al­la finzione e ti sfugge l’osservazione».

Percorriamone alcuni: Carmela ovvero “sono Carmela, sono una donna, sona una mamma, sono una nonna, sono cristiana, sono anziana”. Nessun riferimento?
«Carmela è una settantacinquenne filogovernativa che però lodando rivela le pecche. Insomma, dice male parlando bene. È un po’ la sintesi di quattro o cinque persone che ho co­nosciuto personalmente a cui guardo come stimolo iniziale, anche se poi il personaggio vive per conto proprio. Però incontro sempre qualcuno che mi dice “tale e quale a mia zia”».

Rosalyne, un personaggio che mi ha ricordato la telefonista di hot line di “America oggi” di Altman.
«Non posso dire di essermi proprio ispirata ma ricordo bene il film e quella scena. Rosalyne è nata in un programma di Lillo e Greg e voleva giocare sulla sensualità domestica, la tendina davanti al televisore e il bambino dietro».

Veronica, serafica vittima di caporalato su tutti i fronti, an­che in famiglia. Quanto il caporalato si nutre dell’ingenuità oltreché della miseria?
«In prima battuta il caporalato si nutre della necessità e subito do­po dell’assenza di diritti, di chi non ha nemmeno la possibilità di porsi il problema dei propri diritti».

Basta buttare un occhio alla cro­naca.
«Infatti Veronica all’inizio sembrava un personaggio di nicchia, riferito a una realtà circoscritta ma ora la precarietà e lo sfruttamento sono problemi enormi e sempre più diffusi».

Anche Assuntham, questo connubio arabo-napoletano sem­bra tornata molto attuale.
«Un personaggio nato durante la guerra in Afghanistan in cui ironizzando sulla sottomissione della donna afghana, parlavo anche di donne più vicine a noi».

E ci furono polemiche da più parti.
«Da Zelig mi consigliarono di non rispondere. Si offese un Iman e alcuni giornalisti scrissero che più che le donne afghane si sarebbero dovute offendere quelle napoletane. La risposta invece arrivò da un’associazione di donne mussulmane che si dichiararono contente, anche del modo in cui portavo il velo».

Una situazione che, a guardarla adesso, sembra idilliaca. Visto che gli Usa non erano riusciti a esportare la democrazia nemmeno con le armi, hanno fatto che andarsene mollandoli lì su due piedi, o appesi al carrello di un aereo. Scusi lo sfogo.
«Ci mancherebbe. Adesso le donne se solo indossano male il velo la polizia le sequestra e le fa fuori. C’è un’indifferenza verso questi temi difficile da scalfire».

E per la satira c’è ancora spazio?
«In Rai è impossibile. Pro­grammi come L’ottavo nano non sono nemmeno pensabili. Ma non soltanto in Rai».

Quindi non resta che il teatro o la piazza virtuale, che rapporto ha coi social?
«Non sono costante ma quando li uso ne ho un ritorno. Mi accorgo che è un momento di crescita».

Cosa rappresenta la risata del pubblico, in diretta?
«Se manca al momento giusto, io già mi deprimo. La risata è un metronomo, soprattutto nel ca­baret, e ti consente di improvvisare, di instaurare col pubblico un rapporto vivo e costante. In uno spettacolo di prosa invece è diverso».

E a proposito di prosa, com’è stata l’esperienza con Chiara Noschese, regista di “Taxi a due piazze”, con cui tornerete in scena la prossima stagione?
«Chiara è molto brava e molto esigente, non ti dà respiro, ti concede pause brevissime, an­che per il pranzo e non solo per il pranzo».

Ad aprile invece riprenderà “Palcoscenico”, il monologo autobiografico di Franca Rame sullo stupro e in “Mina Set­tembre”, la fiction di Rai1 diretta da Tiziana Aristarco dai racconti di Maurizio De Giovanni, interpreta un’ostetrica che ha a che fare con i consultori. Cosa pensa degli intenti revisionistici della 194 e della proposta di far sentire alla donna che intende abortire il battito del feto?
«Cosa vuole che ne pensi? Mi fa una grande rabbia constatare che di fronte a conquiste di ci­viltà che credevamo acquisite si possa tornare così indietro. Una perdita di tempo, soprattutto sa­pendo che ci sono ben altre emergenze».

Ci lasci un ricordo di Vincenzo Cerami con cui scrisse e diresse a due mani “Ma dove vai”, una sorta di commedia degli equivoci ambientata nella Napoli di oggi, tra personaggi che cercano di cavarsela malgrado gli stenti e mille difficoltà.
«Persona eccezionale, schietta, senza costruzioni. Un privilegio avere lavorato con lui».

L’artista a cui si sente più vicina?
«La figura che sento più vicina al cuore è Massimo Troisi perché era un timido e io conosco bene il tema».

Articolo a cura di Alessandra Bernocco