Home Articoli Rivista Idea «La modestia cuneese scelta consapevole che… non fa storia»

«La modestia cuneese scelta consapevole che… non fa storia»

Il libro dell’ex senatore Mario Rosso indaga sull’umiltà dei personaggi e dei loro narratori

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Uno è stato elogiato da Machiavel­li, un altro ha salvato migliaia di vite dalle carestie più dure. Tutti grandi personaggi storici di Cuneo e dintorni, hanno in comune una caratteristica oltre al luogo di nascita. L’autore Mario Rosso, nel suo ultimo libro “Piumla basa” (Nerosubianco edizioni, 204 pagine, 19 euro), la definisce «modestia cuneese. È un grande pregio ma, al tempo stesso, un difetto: noi persone della Granda siamo ed eravamo incapaci di autoesaltarci. In questo spirito, la nostra provincia ha celebrato po­chissimo personaggi che han­no dato tantissimo all’Italia. Al tempo stesso, quando loro erano in vita, hanno fatto grandi cose senza mai sbandierarle. Ho provato a mettere insieme le loro storie e i loro successi, con lo spirito dell’autore Tucidide. Che, al tempo della Guerra del Pe­loponneso, diceva: “Bisogna conoscere il passato per capire il presente e orientare il futuro”». Classe 1948, ex senatore della Repubblica e assessore alla cultura del Co­mune di Cuneo, Rosso è stato presidente del Conser­vatorio “Ghedini” e della ban­da musicale “Duccio Galim­berti”. Da sempre impegnato nel sociale, già in passato ha pubblicato diversi volumi, dalla saggistica ai romanzi storici.

Rosso, da dove arriva questa modestia?
«Vai a capirlo. Forse non saprebbero dirlo neppure i migliori sociologi o psicologi. Secondo me, ma è solo una sensazione, ha a che fare con le nostre colline e le nostre montagne. Soprattutto in passato, non erano mica trafficate come quelle del Tirolo e di altri territori. Erano isolate, spesso vuote, silenziose».

È una forma di timidezza?
«No, la modestia cuneese è la scelta o l’incapacità di vantarsi dei propri meriti. Luigi Giuseppe Barbaroux, nato a Cuneo, tra Settecento e Ot­tocento è stato uno dei volti cruciali del passaggio tra l’epoca feudale e quella mo­derna. Ripeteva sempre, in piemontese: “esageroma nen, piumla basa” (non esageriamo, ndr). Quasi tutti, qui, hanno sempre fatto così».

Come se n’è accorto?
«Sono un appassionato di storia locale. Mi piacciono le storie della gente comune, più che i grandi nomi. Per capirci: sono interessanti le vicende di Napoleone, ma io preferisco capire bene come vivevano i suoi concittadini, chi si dava da fare nelle città di quell’epoca. A casa ho una grande collezione di saggi e volumi sulla storia locale. Sono state le mie fonti, durante le ricerche».

Pagina dopo pagina, alterna aneddoti e biografie. Uno dei primi è Publio Elvio Pertinace, nato ad Alba nel 126 d.C. È anche lui un modesto?
«Soprattutto i cuneesi lo sono sempre stati nei suoi confronti, si potrebbe dire. È stato l’unico imperatore romano originario del nostro territorio. Eppure quanti di noi lo conoscono e ne conoscono la storia? Nelle lezioni a scuola, nei convegni, ce ne ricordiamo mai? E pensare che anche Machiavelli l’ha citato nel suo “Principe”. Lo esaltava come uomo per bene, che amava la pace e la giustizia. Insomma: un esempio virtuoso da tenere a mente».

Poi c’è la storia di Giovanni Vincenzo Virginio (Cuneo 1752 – Torino 1830). In che modo ha salvato migliaia di persone dalla fame?
«Alla sua epoca, le patate venivano definite la radice del diavolo. Si pensava che fossero velenose e non del tutto a torto: quando stanno alla luce, infatti, formano una patina verde che non deve essere mangiata. Ma, se vengono conservate al buio, questo non succede. È stato lui ad accorgersene: una scoperta grandiosa. Ma poi ha consumato tutte le sue ricchezze sperimentando la loro coltivazione, senza che avesse subito l’eco che avrebbe meritato. Per questo, è morto in miseria. Oggi, a Cuneo, c’è una piazza dedicata a lui».

E Giuseppe Carle, a cui è dedicato l’ospedale di Cuneo, chi era?
«È stato lui, tra Ottocento e Novecento, a portare la chirurgia moderna in Piemonte. Era un pioniere nel campo della medicina, un professionista immenso».

La modestia è sempre un pregio?
«Quella che racconto nel mio libro, per come la intendo io, sì. Non significa non avere consapevolezza di sé e delle proprie capacità, ma non volere essere eccessivi, ridondanti, troppo vanitosi o autoreferenziali: l’esatto opposto di molte persone di potere oggi».

Ogni regola ha bisogno della sua eccezione, per essere confermata. C’è, nella storia del Cuneese, pure qualcuno che sia stato tutt’altro che modesto?
«Mi viene in mente il grande Giovanni Botero di Bene Vagienna. Siamo tra Cin­quecento e Seicento. Gesuita, scrittore, filosofo; a 14 anni, era partito dal suo paese natale per andare a Palermo a studiare. Dicono avesse un caratterino niente male, sempre difficile da gestire. Non sarà un caso se, alla fine, l’hanno pure cacciato dai Gesuiti. Poi ce ne saranno altri, sicuramente: magari potrebbero essere il tema di un altro libro».

“Piumla basa” è un manuale di storia?

«No. E non va neanche inteso come una banalizzazione della storia locale. Ho trovato una linea di racconto e, basandomi sui fatti, l’ho seguita. Ma l’obiettivo è avvicinare la gente al nostro passato, non quello di fornire spunti accademici».

Articolo a cura di Luca Ronco