L’angelo del carcere

Don Claudio Burgio, cappellano del Beccaria, si occupa da anni di minori reclusi. Ha appena incontrato Riccardo, che ha sterminato la famiglia, cogliendo «un dolore profondo senza nome»

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«Questo giovane ha un dolore profondo ancora senza nome. Per questo penso che occorra sospendere il giudizio. Non dobbiamo dare risposte immediate e perciò riduttive, ma andare in profondità e capire. Quello che è accaduto non è comprensibile con ragionamenti astratti». Il giovane è Riccardo, l’autore della strage di Paderno, prigioniero di un male oscuro che solo lui conosceva finché non ha ucciso, a colpi di coltello, senza avvisaglie né elementi scatenanti, papà, mamma e fratellino. Le parole appartengono invece a don Claudio Burgio, cappellano dell’istituto penale minorile Cesare Beccaria di Milano, che l’ha incontrato: parole delicate e profonde, soprattutto diverse in un oceano di giustizialismo sfrenato, psicologia da quattro soldi e silenzio disorientato, ché quando la violenza squarcia la normalità ci fa paura e ci chiediamo se davvero può capitare a tutti. In fondo fino alla notte di sangue tutto era perfetto – la famiglia serena e la villetta linda, il lavoro e la scuola, i compiti e il volley – e solo poche ore prima il padre aveva spento le candeline e tutti sorridevano.
Don Burgio sa leggere negli occhi, scavare nell’anima, trovare le chiavi del dialogo con ragazzi colpevoli e spesso vittime, lontani anni luce da Riccardo che nulla ha del profilo criminale o come Riccardo assaliti da demoni che si nutrono di disagi e solitudini interiori, traditi da fragilità e malesseri che covano mascherati da una tranquillità apparente. Cinquantacinque anni, ordinato sacerdote a 27, alla realtà del Beccaria s’è accostato nel 2005 come collaboratore di don Gino Rigoldi del quale a marzo ha preso il posto. Si muove tra adolescenti difficili, molti schiacciati da una vita di strada improntata a sopraffazioni e violenze, e nella sua missione, nella sua vocazione, non c’è solo una sensibilità naturale che lo porta a dare aiuto e cercare il recupero, ma una preparazione specifica: don Claudio ha una laurea magistrale in Consulenza pedagogica per la disabilità e la marginalità, conseguita all’università Cattolica presso la quale fa anche parte del laboratorio “Problematiche educative per persone in contesti di reclusione”. Oltre che in carcere, si occupa di minori con problemi di giustizia attraverso l’associazione Kayros, di cui è fondatore e che dal 2000 gestisce comunità di accoglienza e servizi educativi.
Il suo pensiero, la fiducia che resiste tra storie maledette e vite durissime, emarginazioni e tossicodipendenze, sopraffazioni e dolori, è sintetizzata nel titolo d’un suo libro: “Non esistono ragazzi cattivi”. Lo pubblicò nel 2010, adesso ha scritto “Non vi guardo perché rischio di fidarmi. Storie di cadute e resurrezione”, nelle cui pagine viene ribadita la convinzione che per combattere la criminalità giovanile non serve inasprire le pene, «ma offrire opportunità di crescita e dare fiducia», senza nascondere ai figli le problematiche e le sofferenze, ma seguendoli nel confronto con la società che ha tanti volti e molti non belli. «I minori reclusi – ha ricordato – sono persone in formazione che hanno bisogno di recuperare cosa si è interrotto nel loro percorso: famiglia, scuola, sentirsi amati. Il carcere com’è strutturato non sempre permette di assolvere ai compiti di rieducazione». Appassionato di musica, direttore della Cappella musicale del Duomo di Milano, don Claudio è anche compositore: tra i suoi lavori, “Una storia più grande di noi”. Come quella, tragica e incomprensibile, di Riccardo.