«Dobbiamo conoscere la carne piemontese come vino e tartufi»

Federico Francesco Ferrero, medico nutrizionista e chef, è stato a Roddi con il Consorzio Carni Piemonte: «Spiego ai giapponesi che il sapore non è nel grasso»

0
1

Un castello che ha conservato intatto il fascino della storia e una degustazione pensata per avviare il percorso di riscoperta di un alimento decisamente “storico”. Consorzio Carni Piemonte ha riunito a Roddi produttori, allevatori ed esperti per uno show cooking presentato da Fede­rico Francesco Ferrero, medico nutrizionista e gastronomo torinese, conosciuto anche per la sua vittoriosa partecipazione a MasterChef del 2014. L’obiettivo: mettere orgogliosamente in vetrina la carne piemontese come da tempo si fa per tartufi o vino. «La carne attraversa un momento complesso – ci ha detto Ferrero -. Vero che oggi ci sono tanti amanti ad esempio delle carni frullate, ma anche molti detrattori che sbandierano le supposte caratteristiche anti-salutistiche. Però la carne è da sempre un alimento nobile, prescritto dai medici fino a due secoli fa per il suo apporto proteico. E in Piemonte abbiamo un’eccellenza internazionale di carne allevata con sapienza dagli allevatori utilizzando i loro foraggi. Una carne che, assieme al tartufo, è diventata iconica».

La degustazione recita “Non è nel grasso il sapore della carne”: perché?
«Dal Giappone (e non solo) vogliono farci credere che più grassa sia più buona, ma i grassi esterni non sono ottimi per la salute, a parte quelli infiltrati nei muscoli di un animale che si muove. Il sapore però è nella carne e dipende dal terroir, dalla razza, dal metodo di allevamento, dal savoir-faire di ogni contadino, oltre che dal fieno, dall’erba e dai mangimi».

Oggi però quello della carne è diventato un tema delicato.

«In realtà il prodotto maggiormente sotto attacco salutistico a livello mondiale è il vino. Ogni giorno escono articoli su riviste scientifiche. Anche per il burro è così, il pesce ormai è considerato insostenibile. La carne? Guardi, presto parteciperò a un evento con l’Asl Cn2 ad Alba sulla nutrizione del malato oncologico. Il fatto è che non ho mai letto nessun articolo sul rischio legato alla carne in sé. I rischi dipendono dalle modalità della cottura, l’allevamento, la tipologia della carne. Par­liamo, nel caso, di carni ultraprocessate. Ricordiamoci invece che la carne (nuda e) cruda è una peculiarità piemontese ed è molto salutare, mentre nel mondo in un pezzo di carne possiamo trovare dentro decine di altri ingredienti».

Non conosciamo abbastanza questo alimento?

«Sa perché? La mangiamo da poco, un secolo fa nei villaggi di queste zone si gustava una volta all’anno per la festa del paese. Immaginate quanta po­ca alfabetizzazione possa es­serci stata, era così anche per il vino che però 50 anni fa ha avviato il suo sviluppo e oggi degustiamo un prodotto che non c’era o ce l’avevano solo alcune famiglie, oppure era materiale di scarto dei contadini. Per la carne siamo al punto zero, dobbiamo studiarla come è avvenuto per il tartufo, dare valore a una materia prima che ha già di suo un enorme valore: nutrizionale, economico e di sapore».

Partendo dal territorio?
«Chi dice Alba oggi dice tartufo, forse più del vino. È un’economia di grande ricaduta sul terziario, raccolta e produzione passano in secondo piano rispetto agli eventi. La potenza economica del vino, a essere sinceri, è invece nelle mani di un numero limitato di soggetti. Per agricoltura e allevamenti, nel caso della carne, ecco che le ricadute sono distribuite su una filiera che, a partire dalla produzione anche piccola, coinvolge la distribuzione, la rete delle macellerie, la ristorazione e l’export».

Ma c’è quel nodo, tra ragioni salutistiche e animalistiche.
«Si tratta di una guerra commerciale ma il tema è che se tu vuoi bere due bicchieri di champagne e sopra c’è scritto “nuoce alla salute”, l’importante è che non ne bevi due a colazione, due a pranzo, a merenda e a cena… Comunque sulla carne rossa, specie la piemontese e soprattutto quella cruda, non esiste alcun sospetto che possa essere nociva. Poi, per quanto riguarda il vino, è l’alcol a essere cancerogeno… Se il vino avesse lo stesso sapore e la stessa qualità di conservazione anche senza alcol, sarei il primo a berlo con piacere. An­che se forse mancherebbe l’aspetto della condivisione. Tanti studi sono stati fatti sulla longevità dei nostri centenari, gente che il vino lo ha sempre bevuto senza però mai abusarne. Il vino era un carburante. Diversa la situazione per noi “ipernutriti” con fegati ipofunzionanti ed eccesso di calorie, principalmente da carboidrati. Ma il tema è complesso».

Da quando è cambiata la narrazione sulla carne?
«Con le ultime due generazioni è aumentata la consapevolezza, ad esempio nell’uso dei cereali nei mangimi, poi sono nati i consorzi che tutelano la purezza, aiutano gli allevatori in un processo sostenibile. Poi in Italia si passa sempre dagli scandali, ricordo da piccolo cosa accadde al vino. Ma in Piemonte e nel Cuneese in particolare la qualità è altissima, oggi la carne è l’unico prodotto veramente artigianale presente al supermarket».

Che cosa le ha lasciato l’esperienza a MasterChef?
«Sono passati undici anni e nel vino saremmo nella maturità, ma adesso certi baroli sono pronti dopo 4 anni. Siamo diventati impazienti, ma io non lo sono. Ho studiato, ho approfondito il tema della gastronomia anche con consulenze ad aziende, artigiani e agricoltori. E faccio eventi che spero arrivino a tante persone. Poi scrivo su La Stampa ogni lunedì e viaggio a caccia di cibi diversi in un mondo sempre più omologato».