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«Cesare Pavese, il nostro maestro inconsapevole»

Andrea Icardi, regista di “Onde di Terra”, parla del suo film e della collaborazione con Paolo Tibaldi

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È stato presentato in anteprima il 31 agosto alla Cantina Ter­­re del Barolo di Ca­stiglione Falletto, ricevendo un’accoglienza straordinaria: 850 posti a sedere esauriti, mil­le persone intervenute e tante persone in piedi, al termine della proiezione, per applaudire un film che parla di Langa. Quella Langa degli anni ’70, spopolata dall’industrializzazione, dove i “bacialé”, che in italiano sono conosciuti come “sensali”, si prodigano per combinare matrimoni per corrispondenza tra contadini del po­sto e donne del sud. È così che con l’intermediazione di Remo (Paolo Tibaldi), Fulvia (Erica Lan­dolfi) deciderà di lasciare la Calabria per sposare Amedeo (Lucio Aimasso), salvo scoprire che l’uomo conosciuto per lettera non è chi le era stato fatto credere. Questo e tanto altro è “Onde di Terra”, primo lungometraggio di Andrea Icardi, re­gista e docente di ripresa televisiva all’Enaip di Torino, laureato al Dams e originario di Santo Stefano Belbo. Classe 1976, Icar­di ha alle spalle esperienze ci­nematografiche e collaborazioni con la Fondazione Cesare Pavese, l’Università di Scienze Gastronomiche, la Federazione Italiana Pallapugno, solo per ci­tarne qualcuna. E un forte, vi­scerale, legame con la sua terra.

«Cesare Pavese – dice parlando di sé e del suo lavoro – è il nostro maestro inconsapevole». In­con­sapevole, perché non c’è più ma i suoi scritti ancora in­fluenzano la cultura delle Lan­ghe. Inconsapevole perché ca­pace di ispirare, indirizzare, stimolare l’estro creativo di giovani artisti contemporanei. In “On­­de di Terra”, prodotto dalla Si­scom di Renato Sevega in occasione dei primi 40 anni della sua attività, sono concentrati due anni di lavoro e 42 giorni di riprese insieme ai talenti degli attori protagonisti: Paolo Tibaldi, esperto di Langhe, Eri­ca Landolfi e Lucio Aimasso.

Andrea Icardi scrive e dirige: «Il film nasce da un’altra epica del­le nostre terre, la pallapugno (o pallone elastico), che vedeva scontrarsi negli sferisteri i grandi campioni come Massimo Ber­ruti per 6 volte campione italiano tra gli anni ’70 e ’80, e Felice Bertola (15 scudetti), suo storico avversario. Il produttore del film, Renato Sevega, ne è un grande tifoso. Con l’andare del tempo e la scrittura, il soggetto è però mutato e cresciuto, di­ventando il film che è oggi. An­che per via delle difficoltà che si potevano incontrare, sebbene siamo riusciti ad utilizzare immagini di repertorio del tempo, nel rappresentare la folla che all’ epo­­ca riempiva gli sferisteri. Ve­ro luogo di ritrovo per le persone appassionate di questo sport. Nel film ci sono due figure: quella del contadino (Ame­deo) figlio della cultura orale e del giornalista (Remo) figlio del­la cultura scritta. Al centro c’è questa donna calabrese (Ful­via) che non senza tormenti de­cide di lasciare la sua terra per raggiungere la provincia di Cu­neo e l’Alta Langa e sposarsi con un uomo che in realtà non co­nosce, perché lo scambio epistolare che crede di aver avuto con lui è frutto della penna di Remo che le parla della terra, di libri, di Pavese e Fenoglio».
Sullo sfondo c’è un periodo storico preciso: il 1973, anno dell’austerity, della crisi energetica e delle grandi aziende come Fiat, Miroglio, Ferrero che fagocitavano i lavoratori della campagna in cerca di condizioni di vita migliori o di un “posto fisso”… «E poi c’era un altro fattore – spiega Icardi -: le donne erano escluse dall’eredità perché la terra veniva data ai fratelli. Ci si trovava così in una situazione in cui al nord gli uomini restavano da soli a mandare avanti le cascine mentre a sud, a mancare, erano proprio gli uo­mini. Ecco allora nascere la fi­gura dei bacialè, che a volte nel­le loro lettere esageravano un po’».

Fulvia e Amedeo, infatti, sono molto distanti.

«Lui è educato al lavoro, non si relaziona facilmente con gli al­tri. Lei è intellettualmente vi­va­ce e c’è un particolare: è di Bran­caleone, il paese dove fu confinato Cesare Pavese negli anni ’30 per attività antifascista e che la madre di Fulvia aveva co­nosciuto e conservato nei suoi ricordi. Ciò nonostante la vita è bella anche se si accetta il destino e quando Fulvia scoprirà che l’autore delle lettere non era l’uomo che ha sposato, bensì Re­mo, sceglierà comunque di accettarlo. Fulvia e Amedeo stringeranno un patto: lei insegnerà a lui a leggere e scrivere e lui insegnerà a lei a coltivare la terra».

È un film molto al femminile!

«Abbiamo deciso di fare emergere la figura di questa donna sola, che combatte, ed è incinta quando il marito muore. Cre­scerà suo figlio da sola restando a vivere nelle Langhe, terra di lavoro e di vino, in trasformazione. La morte stessa di Ame­deo simboleggia la morte della cultura orale. Erica Landolfi ca­ratterizza molto il suo personaggio, a partire dall’accento ca­labrese che parla correntemente. Una donna forte, di ca­rattere come il suo personaggio».

Come mai ha scelto Paolo Ti­baldi per il lungometraggio?

«Siamo legati da tanti anni di lavoro, sapevo che lui è un grande esperto di Langa e delle sue tradizioni. Remo non poteva che essere lui. Mi ha aiutato a dirigere gli attori, cercato posti dove andare a girare, intatti co­me negli anni ’70, ha insegnato il piemontese…».

Lavorerete ancora insieme?

«Sì, abbiamo in progetto altri film. Intanto “Onde di Terrà” è piaciuto alla Film Commission di Torino che ci aiuterà in promozione e distribuzione. Ha anche una bella colonna sonora originale composta da Enrico Sa­bena, musicista di Saluzzo e la fotografia è di Lorenzo Gambarotta, figlio di Bruno».

Articolo a cura di Erika Nicchiosini