«Se il Centro non è unito, è come se non ci fosse».
L’onorevole Enrico Costa, 54 anni, originario di Cuneo ed eletto alla Camera dei Deputati nel collegio della Granda, già ministro per gli Affari Regionali nei governi Renzi e Gentiloni, ex viceministro della Giustizia con Andrea Orlando ed ex parlamentare per Forza Italia e Pdl, spiega così il suo recente addio ad Azione. Quattro anni fa era stato il primo Deputato ad aderire al partito di Carlo Calenda. Nei giorni scorsi ha annunciato di tornare in Forza Italia, seguito nel giro di poche ore da altri volti di punta del partito come Mariastella Gelmini e Mara Carfagna. «Provengo da una tradizione liberale e intendo impegnarmi al fianco di chi condivide i miei stessi valori e principi», motiva la scelta.
Azione e Carlo Calenda non li condividono più?
«Nel 2020, quando ho scelto di aderire a questo partito, Azione era in netta opposizione al Governo Conte Bis che era stato formato, tra gli altri, da Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico. La sua era una posizione di terzietà rispetto agli schieramenti tradizionali. Posizione che è rimasta tale anche nel 2022, anno delle politiche. Poi, in modo sempre più evidente, c’è stata una deviazione rispetto al percorso originario».
Intende la rottura del Terzo Polo con Italia Viva?
«Dare vita al Terzo Polo è stato un capolavoro politico, come dimostra il quasi 8% delle preferenze a livello nazionale ottenuto nel 2022. Purtroppo, non si è ritenuto di continuare questo percorso virtuoso, ma si è preferito frantumarlo in modo traumatico».
Come mai?
«Qualcuno pensava e pensa tutt’ora che ci sia uno spazio al Centro anche correndo ognuno per conto proprio. Io sono da sempre convinto che non sia così. Se non è unito, il Centro non è niente. Ero stato chiaro sin da subito: se favoriamo in questo modo la rottura del Terzo Polo, non ci sarà più uno spazio elettorale tra gli schieramenti di Centrodestra e quelli di Centrosinistra».
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’adesione al Campo Largo, insieme al Partito Democratico e al Movimento Cinque Stelle, nella coalizione delle prossime elezioni regionali in Liguria?
«È evidente che non posso essere d’accordo con questa decisione. È stata una scelta politica, non tecnica. Ne ho preso atto».
Alle elezioni regionali di giugno, però, ha spinto molto perché Azione sostenesse in modo esplicito la candidatura di Alberto Cirio, attuale e passato governatore di Centrodestra. Un’alleanza di questo tipo in definitiva le creava meno imbarazzi rispetto a quella ligure?
«Cirio era, sotto ogni punto di vista, il candidato più convincente. Mi sono assunto la responsabilità del percorso per arrivare a formalizzare un sostegno esplicito nei suoi confronti, anche da parte di Azione. Eravamo in pochi a crederci davvero, quando si è arrivati al dunque. Questo la diceva già lunga: se pensavi che il candidato migliore fosse dell’area di Centrodestra, ti si creava il gelo intorno».
Adesso in che rapporti è con Carlo Calenda?
«Personalmente, ottimi. La mia è stata solo una scelta politica».
Teme che i suoi elettori possano non comprenderla?
«Potrebbero non condividerla, pensando che ci sia ancora uno spazio al Centro, nonostante la rottura del Terzo Polo. Ma credo che la mia scelta sia chiara a tutti. Non ci sono elementi di ambiguità. In Azione ero vicesegretario. Il mio non è opportunismo, ma coerenza rispetto ai miei valori».
Il ritorno a Forza Italia è un ritorno a casa?
«Ho parlato a lungo con Alberto Cirio e Antonio Tajani. Hanno accolto la mia scelta con grande affetto, entusiasmo e calore. Per me, al primo posto, ci sono i temi. Continuerò a occuparmi di giustizia. Forza Italia, anche su questo, ha sempre sostenuto le mie proposte».
Tra le più note, c’è il recente emendamento che limita la pubblicazione integrale delle ordinanze di arresto. Molti l’hanno definita “legge bavaglio”. Perché, secondo lei, è giusta?
«Perché il garantismo è sacrosanto. Se una persona viene riconosciuta innocente al termine di un procedimento penale, deve essere la stessa di quando quel procedimento è iniziato. Oggi, invece, se sei innocente e vai a processo, ne esci in ogni caso logorato».
A proposito di giustizia. Che idea si è fatto delle vicende che hanno portato alle dimissioni dell’ex governatore della Liguria Giovanni Toti?
«Non entro nel merito delle contestazioni. Come troppo spesso accade, in politica si continua a usare la scorciatoia giudiziaria per attaccare gli avversari. Io resto sempre dell’idea che il procedimento penale debba fare il suo corso e, fino al verdetto di terzo grado, questo non debba influire in alcun modo sulla politica».
Vale per tutti? Se, per esempio, la ministra Daniela Santanché o il sottosegretario Andrea Delmastro saranno rinviati a giudizio, non crede che dovranno dimettersi?
«La politica non deve utilizzare scorciatoie giudiziarie. Mai».
Pensando al territorio, quali risultati può dire di aver portato a casa nella legislatura ora in corso per i concittadini della Granda?
«Ho sempre lavorato per la mia provincia e continuerò a farlo. I sindaci del territorio e tutti gli enti lo sanno bene: se c’è bisogno, noi parlamentari del Cuneese siamo a disposizione».
Articolo a cura di Luca Ronco