Home Articoli Rivista Idea «Approfondire i fatti per capire meglio il mondo che cambia»

«Approfondire i fatti per capire meglio il mondo che cambia»

Il conduttore torna in prima serata con “Lo stato delle cose” su Rai3: «La nostra società è in confusione, perché ha paura del futuro. A questo punto credo che ci sia la necessità di realizzare programmi più di approfondimento che di scontro. Ci occuperemo anche della provincia, su cui si regge il Paese»

0
1

La separazione quasi violenta da La7 (per come è maturata e per i risvolti sul pia­no personale) e poi il ritorno da mamma Rai: Massimo Gi­letti gira un’altra pagina professionale. Ed è già ripartito sul terzo canale della tv pubblica con “Lo stato delle cose” e il primo ospite è stato l’accusatore di Trump negli Usa, Michael Coen. L’idea infatti è di affrontare la crisi politica globale, quella che da un po’ di tempo sembra aver investito tutto il mondo: «Ad sempio, è davvero significativo che in America abbiamo tentato di occupare il Parla­mento con la violenza e che però in seguito non ci sia stato lo sdegno che un evento del genere avrebbe meritato», ci ha detto il conduttore alla vigilia del suo debutto di lunedì in prima serata con il programma prodotto da Rai Cultura.

Dove si trova adesso l’Europa in questo scenario mondiale?
«È inascoltata, dovrebbe cambiare totalmente atteggiamento».

E l’Italia?
«Il primo ministro Meloni fa bene a farsi sentire con Bruxelles, anche con energia, ma poi bisogna avere l’intelligenza di trovare punti in comune, perché la politica è l’arte del compromesso».

Ci dica, intanto, qualcosa del suo nuovo programma.
«Nasce come un nuovo modo di raccontare e vivere questa nostra società che è in stato confusionale, sotto shock, perché ha soprattutto paura del futuro. Il mondo in generale non è che vada benissimo, anche ce lo raccontano così. Ma siamo sempre sul li­mite, a rischio. Credo che ci sia a questo punto la necessità di realizzare programmi più di approfondimento che di scontro».

Quindi si tratta di una svolta rispetto alle sue ultime trasmissioni, da “L’Arena” a “Non è l’Arena”?
«Quelle saranno un vecchio ricordo, seppur bellissimo, che lascia spazio a un nuovo viaggio, un format diverso che nasce proprio dalle recenti evoluzioni epocali, che sono senza precedenti».

Ci saranno molti faccia a faccia?
«Sì, punto molto sul confronto tra chi la pensa in modo diverso, per la bellezza di ascoltare anche interlocutori anarchici. Sono quelli che hanno una visione differente dal pensiero mainstream e dal­la facile ipocrisia dei luoghi co­muni. A me piace poter andare incontro al mondo che cambia e dare spazio a chi porta una visione diversa, lo “stato delle cose” è un’analisi che in pratica vuol dire: io ci credo allo Stato con la “s” maiuscola, però voglio anche capire che situazione viviamo».

Qual è la sua impressione, a questo proposito?
«Guardando alla geopolitica di oggi, la democrazia appare molto in crisi e questo è un pericolo reale. Non credo all’uomo solo al comando, al pugno duro. Il rischio che ve­do è quello di chi non capisce che quando uno stato non dà più ri­sposte, lascia spazio alla paura che poi spinge i cittadini verso gli estremismi. Ecco allora perché in Germania co­me in Austria vincono i neonazisti. Sono rischi da evitare, sia gli estremismi a destra e sia a sinistra. Anche noi “televisionisti” possiamo avere le nostre responsabilità».

È cambiato il ruolo dei talk show?
«Oggi in realtà il mon­do vive moltissimo sulla violenza e sull’odio che seminano i so­cial, per non parlare delle fake news. Ma non è certo una novità: Goebbels fu uno dei più grandi manipolatori della realtà, penso anche al periodo sovietico in cui esisteva addirittura un ministero della “dezinformatsiya”, la disinformazione. I veri poveri di oggi sono gli ignoranti che non conoscono la verità e se­guono quindi questa ondata di odio e di non-ragionamento».

E la tv che cosa può fare all’interno di questo cortocircuito?
«Ci sono colleghi che pensano che la tv non abbia una finalità educativa. Io credo sempre che il compito di educare spet­ti prin­cipalmente alle fa­miglie, ma anche il modello televisivo finisce per incidere nella realtà delle cose, nello “stato delle cose” appunto».

La situazione internazionale è pesante, ci sono due guerre.
«E sembra tutto così lontano. Io ho viaggiato per vedere da vicino la guerra, sono stato in Ucraina e in precedenza an­che in Iran, prima ancora in Afghanistan. Adesso abbiamo una guerra in Europa da tre anni eppure noi continuiamo a vivere come se nulla fosse, ci troviamo su una sottilissima linea rossa e basta davvero poco perché tutto si trasformi in una tragedia grande. Ma noi intanto beviamo e balliamo come sul Titanic, dove l’orchestra suonava e la nave affondava. Non voglio essere catastrofista, ma vorrei che ci svegliassimo».

Con “Lo stato delle cose” vi occuperete anche di cronaca locale?
«In Italia la provincia è il magma di questo vulcano che è il nostro Paese, la provincia tiene in piedi l’Italia. Ho grande rispetto per le realtà locali, andrò a vedere alcune cose che mi incuriosiscono. Aprirò le piazze in diretta tv di notte, per vedere che cosa succede».

Tornerà nel Cuneese?
«Intanto ci sono stato a giugno per il Festival della Tv a Do­gliani, un faccia a faccia con Francesca Fagnani molto interessante. Il Piemonte è la mia terra e trovo in particolare che qui sia speciale l’etica del la­voro. Penso anche all’attenzione per il territorio che c’è ad esempio in Granda. Un popolo di agricoltori che negli anni ha saputo investire in qualità e cultura, trasformando letteralmente quella terra. Però in Granda conoscono bene il valore della fatica, perché l’hanno vissuta, e oggi quelle colline sono un vanto nel mondo».

Dopo quanto accaduto a La7, lei vive sotto scorta. Questa situazione la condizionerà, do­­vendo affrontare temi di criminalità e mafia?
«No, andrò avanti per la mia strada».

Tornando in Rai che cosa è cambiato per lei dopo il tumultuoso addio alla tv di Cairo?
«Come dice Giovanni Minoli, mio maestro, è meglio avere più padroni che uno solo».
Una parentesi sportiva per concludere: da juventino, che cosa pensa di Thiago Motta?
«Un uomo che crede molto in se stesso, che ha grande carisma per aver vinto tanto da giocatore in squadre importanti. Lo invito però a essere umile. La Juventus ha imboccato una strada inevitabile con questa rivoluzione che avrebbe dovuto avviare già da tempo. Forse ha trovato l’uomo giusto per farlo. Anche se sono convinto che il vero “uomo giusto” sia soprattutto il ds Giuntoli».

CHI È

Giornalista, è nato a Torino il 18 marzo 1962 da una famiglia proprietaria dell’azienda tessile Giletti Spa. Il papà Emilio, morto nel 2020, prima di dedicarsi alla gestione dell’attività di famiglia era stato anche pilota automobilistico per le scuderie Ferrari e Maserati

COSA HA FATTO

Nel 1988 debutta nella redazione di “Mixer” e come conduttore televisivo nel 1994 in “Mattina in famiglia” e “Mezzogiorno in famiglia” su Rai 2. Nel 2004 presenta “Domenica In”. Dal 2005 fino al 2016 conduce “L’arena” e nel 2017 passa a La7 per il nuovo “Non è l’arena”

COSA FA

Sotto scorta dal 2020 per le sue inchieste giornalistiche sulla mafia, è uscito da La7 dopo l’improvvisa cancellazione del suo programma “Non è l’arena” anche in seguito al coinvolgimento di Salvatore Baiardo, l’ex gelataio amico del boss Graviano. Dopo un periodo di assenza dalla tv, torna adesso in pianta stabile su Rai3 con il suo programma “Lo stato delle cose”