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«Il mio nuovo libro sui “corzetti”? Parla dell’Italia»

Ancora oggi in Alta Val di Stura questa pasta è preparata secondo la tradizione, ma la sua storia è così radicata che attraversa tutta la Penisola: dalla Liguria alla Campania, dalla Puglia all’entroterra toscano fino alla Sardegna. Partendo dalla Sicilia...

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Stampati o tirati con le dita. Preparati dal nord al sud d’Italia, semplicemente con acqua, sale, farina. Sono i “cor­zetti”, una pasta semplice per le grandi occasioni che an­cora oggi in Alta Val di Stura viene preparata secondo tradizione. Un patrimonio arcaico da tutelare e valorizzare la cui storia millenaria è raccontata nel volume “I corzetti” (Epoké, 2024) ultima fatica di Chiara Parente.
Scrittrice e giornalista freelance, Parente è laureata in Let­tere moderne con indirizzo medievistico e da sempre è appassionata di storia. Bor­s­i­sta Cnr dal 1997 al 2001 all’Università Statale di Mi­lano e dal 2000 al 2001 all’Università di Torino, dal 2006 al 2016 è stata anche membro del Comitato tecnico-scientifico del Centro Stu­di Internazionale Matteo Ban­dello per la cultura rinascimentale. Scrive di mostre, restauri, itinerari storico-artistici per il mensile culturale “Medioevo. Un passato da riscoprire”, Meer e Archeo. E poi c’è la passione per la storia che passa attraverso il cibo e le tradizioni culinarie, attraverso cui riscoprire i territori. Una passione che porta anche in aula: è infatti docente di lettere nella scuola secondaria di secondo grado.

Chiara, come mai ha deciso di parlare di “corzetti” e come sceglie il tema dei suoi libri?
«Propongo sempre territori inediti, convinta che la storia dei nostri luoghi sia esplorazione e scoperta. Per questo sono alla costante ricerca del “genius loci” che caratterizza un territorio. Il mio libro par­la di corzetti, ma anche della Valle Stura. Questo tipo di pa­sta ha una lunga storia che ha attraversato tutta l’Italia. So­no tipici di queste zone e del­la Liguria, ma nascono in Si­cilia, alla corte di Federico II di Svevia. Si trovano a Pa­sturana e Novi Ligure, che fa­ceva parte della Repubblica di Genova. A Genova si facevano i corzetti stampati e a Va­rese Ligure, in provincia di La Spezia, Alessandra Picetti è l’ul­tima ebanista a fare gli stampini per i corzetti. Una giovane donna che ha ereditato dal padre la passione per l’arte di creare gli stampi dei “croxetti”. In Alta Valle Stura maestre pastaie de La Rasdo­iureto, gruppo nato per salvaguardare e diffondere i crouzet, fanno corsi per insegnare come confezionarli e cuochi e ristoratori fanno la fila per venire a imparare. Per realizzare i miei libri faccio tante interviste. La cosa più bella è l’incontro con le persone, ed è la parte umana che esce maggiormente dal libro. Bisogna ri­cordare che dal Piemonte al­la Puglia, ci sono persone che hanno ripreso la lavorazione di questa pasta creando valore».

Ma cosa sono i corzetti?

«I corzetti erano la pasta delle occasioni: matrimoni, mo­men­ti piacevoli e importanti. Una pasta semplice ottenuta da sale, farina e acqua alla qua­le a volte si aggiungeva l’uo­vo. C’erano i corzetti stam­pati e quelli tirati con le dita o a forma di “8” come nel­la Valpolcevera. Gli stampini identificavano le famiglie, stem­mi araldici e casati, ma i più antichi erano decorati con disegni geometrici o ghirigori. Testimonianze relative a questo tipo di pasta compaiono nel Liber de coquina, tra il 1230 e il 1250, scritto da un anonimo alla corte di Carlo II d’Angiò. I corzetti sono citati con le lasagne, è citato anche il modo di mangiarli “cum punctorio ligneo”, con un pun­teruolo di legno, origine della forchetta e del nostro mo­do di mangiare. Si trovano poi testimonianze nel ’500 e, nel ’700-’800, nei ricettari ge­novesi».

Il suo è un lavoro di ricostruzione?
«Sì. Troviamo i corzetti nella storia del Piemonte, del basso Piemonte, della Campania, del­la Puglia (la zona delle due Sicilie) che affaccia sul mar Tir­reno. E li ritroviamo nell’entroterra toscano, a Bari, at­traverso le vie del sale di Ge­nova e La Spezia: stampati, tirati con le dita o forma di “8”, come detto, ma anche orecchiette, “croset” provenzali (dall’occitano) in Alta Val di Stura che sono i principali. E poi cugini e cuginetti che so­no strascinati, cicatielli, fenescecchi alla barese (pasta fatta con le dita), Cavatelli all’uso di Teramo (in Abruzzo), pa­sticcio alla carlofortina, curzetti e casulli in Sardegna. Ne parlo in un capitolo del libro che si intitola “Piccole divagazioni Gastronomiche”. Una cu­riosità: Steva De Franchi, ne “La locandera de Sampê d’Arenna” fa dire a Ghig­giermo che per trovare un ma­rito bell’e pronto per la figlia… “l’ho da stampâ com­me ûn corzetto!” (dovrei stamparlo come un corzetto!). Altra curiosità è il diametro dello stampo, dai 7 centimetri del 1870 si passa ai 5 del 1970 e poi si riduce ancora a differenza delle lasagne che hanno fatto il contrario pas­sando da 4 centimetri a 10 centimetri per lato».

Quindi è la voglia di recuperare una tradizione che l’ha spinta a scrivere il libro?
««Sì, perché sennò vanno perse. Per esempio ho fatto fatica a trovare una ricetta siciliana anche se i corzetti so­no nati lì. Idem a Napoli, dove alla corte di Carlo D’Angiò an­davano alla grande. Forse da storica sono attratta al recupero di ciò che può scomparire, in un’ottica di salvaguardia ma anche di futuro. Le ricette (e le tradizioni gastronomiche) possono servire a caratterizzare una località, il genius loci di un territorio. Per esempio a Novi Ligure i corzetti so­no entrati nel paniere De.Co, sono stati nominati da Can­navacciuolo e si servono con il Gavi di Gavi, per contestualizzare ancor più le tradizioni del territorio. Senza questo, il recupero è fine a sé stesso. Dob­biamo guardare al riutilizzo di questo materiale, in un modo o nell’altro».

Articolo a cura di Erika Nicchiosini