Home Articoli Rivista Idea «La favola degli 883, storia di un sogno che vale anche oggi»

«La favola degli 883, storia di un sogno che vale anche oggi»

Abbiamo intervistato Alice Filippi, regista di Mondovì che ha diretto tre puntate della serie Sky dedicata al gruppo creato da Max Pezzali e Mauro Repetto più di trent’anni fa: «Non è un’operazione nostalgia, ci rivolgiamo alle nuove e anche alle vecchie generazioni»

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Non è un’operazione-no­stalgia. «Per­ché la storia di Max e Mauro (Pez­zali e Re­petto, ndr) è quella di due ragazzi di provincia con un grande sogno. Son passati più di trent’anni, ma tante dinamiche del loro percorso non sono cambiate. Gli adolescenti di oggi si rivedono in queste vi­cende e, so­prattutto, nelle loro canzoni».
Alice Filippi, 42 anni, abita a Mondovì ed è la regista de “Hanno ucciso l’Uomo Ragno -La leggendaria storia degli 883”. Ha firmato la terza e la quarta puntata della serie, in onda domani sera, venerdì, su Sky e disponibili in streaming su Now. Su questa piattaforma, dalla scorsa settimana, si possono già vedere i primi due episodi. La serie racconta la genesi di alcune delle canzoni più famose degli 883, con i protagonisti Elia Nuzzolo (Pezzali) e Matteo Oscar Giuggioli (Repetto). An­che il sesto episodio, in programma venerdì 25 ottobre, è di Filippi, mentre agli altri hanno lavorato i suoi colleghi re­gisti Sydney Sibilia e Fran­cesco Capaldo. «Un grande la­voro di squadra» racconta. Aiu­to regista di Carlo Verdone dal 2005 e già due volte nella cinquina dei Premi David di Do­natello (2018 e 2021), dopo il diploma alla New York Film Academy Filippi ha partecipato alla realizzazione di film come “Grande Grosso e Verdone” (2007) e “Sotto una buona stella” (2013); collaborato con registi come Montaldo, Mar­to­ne, Veronesi, Marengo, Infa­scelli; diretto il documentario “78-Vai piano ma vinci” (2017), la commedia “Sul più bello” (2020) e il documentario “Sic” (2021). «Il lavoro per “Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883”, pe­rò, è stato molto diverso da tutti i precedenti».
Cosa l’ha reso unico?
«Non è un biopic. Non abbiamo realizzato un documentario sul successo degli 883. Raccontia­mo la storia di due ragazzi di provincia. Hanno un sogno e non sanno come realizzarlo. Ci provano, sbagliano e ci riprovano ancora, proprio come è successo a tanti di noi».
Avete scritto la sceneggiatura insieme a Pezzali e Repetto?
«Siamo partiti da “I cowboy non mollano mai”, il libro in cui Max ha raccontato la sua storia. Lui ha accettato di incontrarci più volte per raccontarci alcuni lati inediti del suo percorso, chiarire i nostri dubbi e rispondere alle nostre curiosità. Per esempio, ci ha aiutato a ricostruire al meglio la tavernetta dove lui e Mauro producevano i primi brani».
Gli 883 hanno mosso i primi passi a Pavia, dove Pezzali e Repetto erano compagni di li­ceo. Vi siete trasferiti lì per gi­rare la serie?
«Quasi tutte le scene in esterna. Le am­bientazioni sono molte e diverse tra loro. Per quelle in­terne, per comodità, abbiamo allestito un set a Roma».
Non dev’essere stato semplice scegliere il cast per interpretare due personaggi così conosciuti e ancora attivi sulla scena musicale.
«Non eravamo alla ricerca di due sosia, ma di giovani talenti che sapessero rendere “l’anima” dei protagonisti. I provini sembravano quelli di X-Factor: serviva il “sì” mio e dei miei due colleghi registi, tutti impegnati a capire se chi avevamo di fronte era l’attore giusto».
“Hanno ucciso l’Uomo Ragno” è stata pubblicata nel 1992. L’album che la contiene porta lo stesso nome della canzone e include alcuni dei brani più famosi degli 883. Per molti so­no stati la colonna sonora di interi anni. E per lei?
«È stato così anche per me. Ri­cordo bene quando tutte le ra­dio hanno iniziato a suonare gli 883. Mi capitava di ascoltarli in macchina con i genitori. Fa­ticavo a capire. Chiedevo a pa­pà: “È morto l’Uomo Ra­gno”?».
Gli adolescenti di oggi conoscono e continuano a cantare quelle canzoni, anche se sono state scritte prima che nascessero. Come lo si può spiegare?
«Perché la storia di Max e Mauro è quella di tanti ragazzi di provincia. Trenta o quarant’anni fa non c’era il telefonino, ma la forza dei sogni è la stessa di oggi. Per questo abbiamo fatto molta attenzione ai toni del nostro racconto. Non è un’o­perazione-nostalgia, non ci ri­volgiamo solo a chi è cresciuto ascoltando gli 883 ma anche al­le nuove generazioni e alle più vecchie, che hanno conosciuto gli 883 già adulti».
Un particolare che non conosceva e l’ha colpita particolarmente?
«L’intraprendenza di Mauro Re­petto. È sempre stato un personaggio più defilato di Max Pez­zali. Ma, in molte situazioni cruciali, è stato il motore del gruppo. Se non ci fosse stato lui, forse Max avrebbe continuato a suonare nella sua tavernetta e per pochi amici».
Anche la sua carriera parte dalla provincia. Ha trovato punti in comune con quella degli 883?
«Quando vivi in una piccola città, spesso sogni la grande città. Tutto ti sembra lontano e difficile, ma non per forza la provincia è un ostacolo. Per me è sempre stata un porto sicuro».
Per questo ha scelto di continuare a vivere a Mondovì?
«Esattamente. Su questo, non ho mai avuto dubbi».
Come si fa, però, a emergere dalla provincia e superare i suoi confini?
«Ciascuno deve trovare il modo giusto per sé. Per gli 883, tutto è cambiato da quando sono stati invitati insieme alla trasmissione tv di Jovanotti su Italia 1 (era il 1988, ndr). Adesso la “scintilla” potrebbe na­scere da un video pubblicato sui social network».
E nel suo caso?
«Io vivevo in provincia e sono partita dalla provincia. Ho iniziato dal teatro, che avevo a pochi metri da casa mia. Poi ho capito che mi piaceva davvero, ho studiato e si sono create le prime occasioni con Verdone».
Ci sono altre storie di musicisti che le piacerebbe raccontare?
«Le storie straordinarie sono ovunque, intorno a noi. Non sa­prei sceglierne solo una o due. Bisogna trovare la chiave giusta per raccontarle. Per prepararmi a “Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883” ho visto o rivisto tanti lavori di colleghi che stimo su altri artisti».

A cura di Luca Ronco