«Durante l’infanzia siamo tutti uguali e tutto è possibile»

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L’artista albese Va­lerio Berruti ha firmato le sce­nografie del Pre­mio Tenco al teatro Ari­ston di Sanremo. L’iconica bambina e alcune video-animazioni ispirate al mondo sospeso dell’infanzia, in cui tutto deve ancora avvenire, sono state protagoniste della kermesse italiana di autore più prestigiosa e rinomata, che quest’anno ha raggiunto l’importante traguardo dei cinquant’anni. Il premio vie­ne assegnato dal Club Ten­co alla carriera di coloro che hanno apportato un contributo significativo alla canzone d’autore mondiale e in questa edizione 2024 è stato assegnato a Edoardo Bennato, Samuele Bersani, Mimmo Locasciulli e Teresa Parodi, con la presenza e l’esibizione di tantissimi ospiti e musicisti illustri.

Valerio Berruti, un altro traguardo significativo per la sua carriera. Che esperienza è stata Sanremo?

«Entusiasmante, ho lavorato con i grandi scenografi del Festival, è stato un momento bellissimo. Sono alcuni anni che l’organizzazione chiama un artista per la scenografia. Gli anni scorsi è toccato a Mimmo Palladino e poi a Mi­chelangelo Pistoletto. Que­st’an­no, anche grazie al fatto che io già di mio ho avuto una lunga frequentazione con il mondo della musica – ho avu­to l’opportunità di lavorare con maestri come Paolo Conte, Lucio Dalla, Lu­dovico Einaudi, Gianmaria Testa e Alessandro Mannarino -, han­no pensato a me. Non ho avuto indicazioni e ho potuto dare libero spazio alla mia creatività. Sono stato coerente con il mio lavoro, quindi sono stato minimale e non invasivo. Ho messo una scultura grande di una mia bambina e poi ci sono le proiezioni di mie animazioni, ne ho scelte sette, che andavano dietro alla canzone premiata. La bambina è la mia opera classica ma hanno fatto passare talmente tante luci che ogni volta sembrava una figura diversa. Con un effetto meraviglioso».

Quando ha cominciato a pensare di voler fare l’artista?

«Fin da piccolo: avevo 3 anni e già rincorrevo questo so­gno. È un lavoro come tanti altri mestieri, eppure, ed è una cosa che mi fa arrabbiare, quando qualcuno dice che il suo lavoro è fare l’artista la gente si stupisce. E invece è come fare il medico, l’idraulico. Fare arte non può essere un hobby. Io credo fortissimamente nella professionalità dell’artista. Da ragazzo mi sono comprato la prima macchina fotografica vendendo i disegni agli studenti del liceo Scientifico, 10mila lire a ta­vola. Io ho sempre disegnato e venduto i miei disegni a chi mi apprezzava. Per me non è stato difficile: sono testardo, credo in quello che faccio e cerco di farlo bene. Non ho mai pensato di fare altro nella vita se non l’artista. Il primo a credere nell’artista, alla fine, sei tu. Ho avuto la fortuna di avere una famiglia che mi ha sostenuto e mi ha stimolato e di vincere tanti concorsi importanti e vedere il mon­do».

Come le è venuta l’idea dei bambini artistici?
«Ho sempre disegnato solo esseri umani. A me interessa l’uomo. Ho capito che il periodo della vita in cui siamo tutti uguali è l’infanzia. I bambini protagonisti dei miei lavori rappresentano appunto il momento, quello dell’infanzia, in cui tutto può ancora avvenire. Questo primo approccio è “facile” e possibile a tutti i livelli. Non mi piace l’arte elitaria che richiede un approfondimento che non è possibile a tutti. Al contempo adoro chi può e vuole approfondire i miei lavori e scoprirne i messaggi più profondi. Lo spettatore può riconoscersi nelle mie opere. Un concetto in cui ho creduto sempre. A 18 anni andavo a prendere le foto nei cimiteri della mia terra, la Langa, facevo opere prendendo particolari diversi, naso, occhi, bocca e li mescolavo. Volevo creare la fisionomia della gente di Langa e far si che le persone si riconoscessero nei miei disegni».

Lei è nato ad Alba, com’è il suo rapporto con il territorio?

«Bellissimo, è il posto che mi piace di più al mondo. Non vorrei stare in nessun altro posto. Avrei potuto andare via, invece ho scelto di stare qui, di lavorare qui e di crescere qui i miei bambini. È stato un grande onore per me quando la famiglia Ferrero mi ha chiesto di creare una statua per la città, in memoria del signor Michele per rendere migliore lo spazio della piazza a lui dedicata e che ricorda un grandissimo uomo che ha dato amore, lavoro alla nostra terra insegnandoci in prima persona cosa significhi essere fortunati e orgogliosi di essere nati qui. Ho pensato che l’intento di Ferrero è stato di far felici i bambini nel mondo e che essi sono un simbolo di quanto ha realizzato: un aspetto perfettamente in linea con la mia poetica, dedicata al mondo dell’infanzia. Così ho realizzato la mia bambina con lo sguardo rivolto in basso verso la ste­le che ricorda Michele Ferrero».

Da molti anni collabora con la galleria Marco Rossi, che ha quattro sedi in Italia: Milano, Pietrasanta, Torino e Verona. Che rapporto ha con Marco Rossi e il suo staff?

«Sono molto contento di avere loro come partner. Or­mai sono ventuno anni che collaboriamo, in pratica da quando ero ancora un ragazzo. Siamo una famiglia, c’è un rapporto forte. Loro sono una grande realtà imprenditoriale. C’è un ottimo rapporto fatto di grande stima, ma anche affetto».