«I volti e le parole per non dimenticare chi visse il dramma»

La testimonianza di Roberto Cerrato di “Proteggere Insieme” a pochi giorni da “Memorie d’acqua”

0
2

Nella notte tra il 5 e il 6 novembre 1994 la storia del­le province di Cuneo, Asti e Alessandria fu segnata irrimediabilmente dal­­la terribile al­luvione del Tanaro, che causò ingenti dan­ni in termini di vite umane e non solo. In occasione del trentennale dell’immane tragedia, sono di­verse le celebrazioni in programma nel Cuneese (e nel resto del Piemonte) per ricordare le vittime e rendere omaggio ad una vicenda che non può e non deve essere dimenticata. Tra le varie iniziative è da segnalare la mostra fotografica “Memorie d’Acqua”, organizzata dall’associazione n­a­zio­nale di Pro­tezione Civile “Proteg­gere Insieme” – con il patrocinio del­la Protezione Civile, della Regione Pie­monte, della Pro­vincia di Cu­neo e della Città di Alba e grazie al sostegno di Banca d’Alba, Fondazione Crc e Cen­tro Culturale San Giu­seppe – presso la Chiesa di San Giuseppe, ad Alba. L’espo­sizione resterà aperta a partire dal 30 ottobre fino al 10 n­o­vembre e sarà visitabile nei se­guenti orari: lunedì (10-13), martedì-venerdì (14,30-18), sabato e domenica (10-18). Sulla mostra, oltre che sul ricordo di quei tragici momenti, da lui vissuti in prima linea, abbiamo intervistato Roberto Cer­rato, presidente e fondatore di “Pro­teggere Insieme”.

Presidente, tra pochi giorni, il 30 ottobre, alle 17, si terrà l’inaugurazione di “Memorie d’Acqua”. Di che tipo di esposizione si tratta?

«La mostra è costituita da dodici pannelli, ognuno dei quali raffigura foto originali del fiume Tanaro donateci dai fotografi dell’epoca. Sono de­gli scatti pazzeschi, che trasmettono anche l’idea di che cosa faccia il volontario. È un’esposizione che serve per non dimenticare ed è per questa ragione che l’abbiamo riproposta in più occasioni. Ci tenevamo ad organizzarla pres­so la Chiesa di San Giu­seppe, alla quale daremo una veste a perenne memoria af­figgendo anche i nomi delle vittime di Alba nel rispetto della grande tragedia di trenta anni fa. Sappiamo che in città ci saranno altre esposizioni (organizzate dal Gruppo Foto­grafico Albese e dall’Associa­zio­ne di Comunicazione Am­bientale, ndr) e ne siamo felici; per la nostra associazione è importante non perdere questa radice di memoria».

La mostra sarà accompagnata anche dalla proiezione del documentario “Acqua e Ter­ra: la grande alluvione del Pie­monte”, di Federico Moz­nich. Quali sono le ragioni di questa scelta?

«L’intento è quello di far rivedere tante persone che vissero quel drammatico evento, alcune delle quali non ci sono più. Penso, ad esempio, al sindaco Enzo Demaria, con cui lavorai durante l’emergenza. Nel documentario ci sono poi interviste ad altri sindaci dell’asta del fiume Tanaro – di Canelli, di Asti, di Alessan­dria – e ai protagonisti del soccorso. C’è anche un mio intervento che ribadisce cosa ci trovammo di fronte in quei giorni. Ritengo quindi che sia un bel documento da riproporre durante tutta l’apertura della mostra».

Qual è, ripensando a quei terribili momenti, la prima immagine che le viene in mente?

«Quella notte fu tremenda. All’epoca ero responsabile del soccorso all’Asava-Asso­ciazione Servizio Autisti Vo­lontari Ambulanza e con gli altri volontari riuscimmo a mettere al sicuro moltissime persone portandole in Comu­ne, avviluppate in una coperta. Misi fuori uso tre ambulanze: c’era talmente tanta acqua che entrò nel motore. Andammo avanti con i soccorsi per tutta la notte fino all’arrivo dei primi aiuti da Genova, con l’imbarcazione dei Vigili del Fuoco. Al mattino seguente cominciarono poi ad arrivare i gruppi da tante altre parti d’Italia».

C’è una situazione particolare che ricorda di quei terrificanti frangenti?

«Custodisco il ringraziamento e l’abbraccio che, guardandoci negli occhi, ci riservavano le persone che portavamo in salvo. Ricordo poi, purtro­p­po, anche una scena drammatica alla casa di riposo “Ot­tolenghi”: rompemmo il ve­tro per entrare negli scantinati e al piano terra trovammo due vittime. Fu un momento davvero tragico».

Nella sua drammaticità l’alluvione del 1994 si segnalò anche come fenomeno di straordinaria solidarietà e cooperazione. Quanto contò questa dimensione “umana” per fronteggiare al meglio l’emergenza?

«Avere un aiuto immediato da squadre e persone fu in­nanzitutto importante per pu­lire le cantine e far riprendere alle aziende un minimo di nor­malità che per mesi non ci fu. Grazie alle varie associazioni arrivate da tutta Italia e alla loro organizzazione ca­pim­mo inoltre di aver bisogno di qualcosa di simile an­che nel nostro territorio. È per questo motivo che nacque l’idea di “Proteggere In­sieme”».

L’Associazione fu, in effetti, fondata nel 1995, proprio in reazione all’emergenza dettata dall’alluvione. Come si costituì?

«Iniziò tutto nell’ottobre del 1995, quando – dopo già tanti mesi di attività con i volontari – organizzai una riunione nel­la Sala della Resistenza del Co­mune di Alba. Fu la prima espressione di volontariato che decise di organizzarsi sul territorio; nel corso degli anni, poi, sono nate anche tante altre realtà e associazioni. Come “Proteggere In­sieme” siamo oggi parte di un progetto più grande e, con la specializzazione nella tutela e nella salvaguardia del patrimonio culturale, lavoriamo in tante regioni d’Italia con oltre venti associazioni a noi affiliate».

In generale l’alluvione segnò una svolta per la Protezione Civile: quali furono le principali novità organizzative?

«Si creò il sistema nazionale di Protezione Civile. Da Alba partì, con il prefetto Sandro Lombardi, il bisogno di creare un tavolo che si occupasse delle varie funzioni e lavorasse in sinergia per portare aiuto alle popolazioni. Anche per il volontariato si cominciò ad avere non più soltanto la voglia di fare qualcosa, ma furono costruite e indirizzate squadre più organizzate».

A distanza di trent’anni ricordare rimane un dovere.

«Il ricordo è essenziale: non c’è futuro senza passato. Non bisogna mai dimenticare prima di tutto perché ci sono state tante vittime, di cui va assolutamente onorata la me­moria».

Altrettanto fondamentale è coltivare la cultura della prevenzione. È fiducioso sulla possibilità che il ricordo, an­che attraverso eventi come la mostra, possa sensibilizzare sull’importanza della suddetta cultura?
«Assolutamente sì. La Pro­tezione Civile sta facendo tut­to il possibile per cercare di ac­crescere la consapevolezza, specie dei più giovani, con il progetto “Io non rischio”, che ha avuto il suo momento pubblico nelle piazze d’Italia proprio in occasione della settimana nazionale della Prote­zione Civile. Bisogna inculcare sempre di più, anche a scuola, la cultura della prevenzione. Ognuno di noi, nel proprio ambito, può e deve esercitarla. Siamo quello che facciamo e, nel fare, siamo noi stessi protezione civile».

Articolo a cura di Domenico Abbondandolo