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«Per avere successo mi faccio domande e guardo al futuro»

Il celebre formatore Robert Jhonson a Cuneo: «Sapere ha a che fare con sapore, bisogna provare»

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Un segreto per ave­re successo? «Non compiacersi per averlo raggiunto, ma pensare al “succederà”. “Suc­­cesso” è un participio passato: qualcosa di già accaduto, superato, dimenticato. Bisogna sempre guardare al futuro». Robert Jhonson è un autore e formatore di fama internazionale. Negli ultimi vent’anni, è stato consulente di alcune del­le multinazionali più importanti (Ikea, Toyota, Google, Co­ca Co­la) e personaggi co­me Bill Ga­tes, Bill Clinton e Mi­chael Jor­dan. Ieri, mercoledì, il suo tour mondiale “Di­stin­guersi per non estinguersi” ha fatto tappa al teatro Toselli di Cu­neo. Più di 500 persone si sono prenotate per ascoltare dal vivo i suoi consigli su come avere successo. Per spiegarlo usa una sfilza di esempi metaforici e frasi fatte, alterna le sue esperienze a considerazioni ge­nerali. L’appun­tamento è stato organizzato dall’associazione am­bientalista Ca­nale Ecologia e patrocinato dalla Provincia di Cuneo e dai Co­muni di Cuneo e Canale. L’ha preceduto la visita di Jhonson alla sede di Con­findustria Cuneo (via Bersezio 9), che ha collaborato all’iniziativa con il Rotary Club Cuneo 1925 e il Lions Club Cuneo. Il consulente, originario degli Usa, risponde in italiano perfetto e parla sette lingue. La prossima da imparare? «Sicura­mente un dialetto», premette con una ri­sata.

Jhonson, perché ha scelto la Granda per una delle uniche due tappe in Italia del suo tour?

«Perché circa dieci anni fa ho conosciuto Giovanni Bosio, pre­sidente di Canale Ecologia. Siamo diventati grandi amici, lo stimo moltissimo. I suoi progetti sono un esempio perfetto di ciò che si può fare per fare la differenza, nel mondo del lavoro e nella propria vita personale».

L’associazione acquista terreni e si impegna a tutelarli, rendendoli oasi naturali. Ultima­mente, sta promuovendo una raccolta fondi per realizzare la nuova riserva di Valle Oscura, nel cuore del Roero. Quale esempio si può prendere da questa iniziativa?
«C’è una questione etica, ovvero l’importanza di avere a cuo­re le tematiche ambientali. Dob­biamo contrastare la crisi climatica, non abbiamo alternative. Soprattutto, c’è una vi­sione che guarda al futuro, al dopo di noi. La morte è l’unica cosa certa. Se vogliamo fare qualcosa che sia ricordato, dobbiamo pensare a quando non ci saremo più. Pensiamo ai grandi investimenti di persone conosciutissime».

Per esempio?

«Bill Gates, con la sua fondazione, finanzia iniziative per ga­rantire a più persone possibili l’accesso alle cure. Da anni ha scelto di occuparsi del tema della sanità. Elon Musk investe nella conoscenza dello spazio. È proprio come nei centri storici più belli e antichi».

In che senso?

«Quando li visiti, vedi monumenti meravigliosi. Chi ha iniziato a costruirli, però, non li ha mai visti completati. Eppure, centinaia di anni dopo, noi continuiamo ad ammirarli. Ecco ciò che intendo per “distinguersi”: avere in mente qualcosa che va oltre la parentesi della propria vita umana».

Gli imprenditori che investono in beneficenza e solidarietà lo fanno con un secondo fine?
«Non è un qualcosa di negativo o egoistico. Lasciare un segno, spesso, significa fare del bene. Il problema è in chi vuole sempre un ritorno immediato in ciò che investe. Non parlo solo del­le ri­sorse economiche. C’è un’ altra frase che mi piace dire spes­so».

“Tu vinci quando perdi”. Giu­sto?
«Esatto. Ovvero: devi perdere qualcosa, per avere di più. Inizio a spiegarlo dal punto di vista finanziario: se non inizi a investire, di fatto rinunciando alla disponibilità di alcune tue risorse in quel momento, non avrai mai di più. Ma pensiamolo anche da altri punti di vista. Quello imprenditoriale: se non usi il tuo tempo e le tue energie per formare bene un dipendente, lui non crescerà e non ti darà i risultati che attendi da lui. Anche il contadino, quando semina, perde il seme. Ser­ve del tempo per permettere a ogni seme di germogliare».

Crede nel successo immediato o l’attesa è sempre una sua componente?
«Non esiste il successo facile. Servono almeno tre cose, se­condo me: non ragionare solo sul breve termine; avere una leadership dirompente; non uniformarsi ai modi di pensare più comuni. Me ne sono accorto anche nei giorni scorsi, quando ero a Ferrara».

Cosa ha visto?

«Il maltempo aveva fatto di nuovo danni e c’era acqua o­vunque. La crisi climatica è un problema sistemico, ma quasi tutti cercano di risolverlo con lo stesso modo di pensare di sempre. Se la loro casa è crollata, pensano a ricostruirla come prima. Non bisogna fare così, soprattutto nel business».

Avere successo significa per forza avere tanti soldi?
«Solo se ragioniamo oltre la parentesi della nostra eternità, siamo persone davvero intelligenti».

Jhonson, lei come ha avuto successo?

«La mia famiglia non era benestante. Volevo iscrivermi all’U­niversità di Harvard, ma costava quasi 200.000 dollari al­l’anno. Non potevo permettermelo, stavo per lasciar perdere. Mi hanno consigliato di fare ugualmente il test. In America, se ti notano alcune aziende, possono essere loro a pagarti la formazione, se ti impegni a lavorare per loro. A me è successo con la Johnson­­&Jo­h­n­son».

Poi un docente l’ha aiutata ad aprire gli orizzonti.
«Ricordo bene quel professore. Mi ha chiesto quale fosse il mio capitale. Avevo 200 dollari. Mi ha detto “sei ricchissimo, pen­sa a cosa puoi fare con tutti questi soldi”. Io volevo imparare le lingue straniere. Non bastavano per andare in Eu­ropa e iscriversi a dei corsi di lingua. Ma li ho usati per scrivere e far pubblicare il mio primo libro. In­tanto, mandavo delle lettere ai consolati, dicendo che volevo im­parare la lingua delle loro na­zioni ma non avevo abbastanza risorse. Alcuni hanno accettato di aiutarmi. Tutto è iniziato così».

Cosa ha fatto per distinguersi?
«Ho imparato a fare domande, per conoscere sempre meglio e sempre di più. Il sapere ha a che fare con il sapore: se ti do una pietanza che non ti piace e vomiti, lo fai perché non va bene per te. Al tempo stesso, non ci sono mai soluzioni valide per tutte. Tu devi riuscire a capire quelle più adatte a quel momento e a quella situazione. Poi serve tanto studio e allenamento. Nessuno diventa un bravo violinista se non si esercita a lungo».

Articolo a cura di Luca Ronco