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A Cortemilia un convegno fa il punto sul progetto della Fondazione Compagnia di San Paolo Regione e Ministero della Cultura

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Quale paesaggio diventerà attrattivo alla luce, anche, dei cambiamenti climatici? E come si possono recuperare gli spazi silenti, antichi muri a secco e luoghi un tempo operosi di scambi tra Piemonte e Liguria, per ospitare nuovi vigneti, forme di economia circolare e sostenibile, e mappe del turismo che il climate change sta cambiando? Traducendo in realtà una legge innovativa della Regione Piemonte: il “non bosco”. E applicandola, in via sperimentale, ad un angolo di territorio che si estende da Saliceto a Monastero Bormida e che comprende anche la valle Uzzone: in tutto 26 comuni, con poco più di undicimila abitanti e una superficie di 378 metri quadrati.

Ecco l’Alta Valle Bormida che la Regione Piemonte sei anni fa ha scelto come area per un progetto di sperimentazione del Piano paesaggistico regionale firmando una convenzione con la Fondazione Compagnia di San Paolo e il Ministero della Cultura. Per fare un punto sulle azioni da intraprendere per rilanciare un territorio già incluso nel piano Snai, dedicato a una Strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne dell’Italia, è stato organizzato un convegno nella chiesa conventuale di San Francesco, a Cortemilia, mercoledì 30 ottobre, con inizio alle 17, dal titolo: «Le opportunità del “non bosco” in Alta Valle Bormida».

Dice l’assessore regionale alla Pianificazione territoriale Marco Gallo: «Verrà dato spazio alle ricadute concrete del progetto su questo territorio, che ha consentito alla Regione di sperimentare le nuove procedure nazionali in materia di recupero dei paesaggi agricoli “storici”, invasi dal bosco, con riferimento ad ambiti estesi arrivando all’approvazione delle “perimetrazioni delle superfici meritevoli di ripristino delle attività agricole e pastorali” per sei Comuni dell’Unione Montana Alta Langa: Cortemilia, Pezzolo Valle Uzzone, Bergolo, Levice, Castelletto Uzzone, Gottasecca».

Dopo i saluti istituzionali il convegno prevede quattro diversi approfondimenti, il primo dei quali condotto da Anna Marson, professore ordinario di Pianificazione del territorio all’università Iuav di Venezia, referente scientifico del gruppo di lavoro che ha condotto la ricerca in Alta Valle Bormida. L’analisi ha puntato a mettere a fuoco le potenzialità paesaggistiche dell’area, intese come risorsa da valorizzare per stimolare e creare le condizioni per lo sviluppo sostenibile del territorio, in collaborazione con le comunità, le amministrazioni locali e i «portatori d’interesse» muovendosi secondo tre diverse azioni. La prima intitolata «Biografia di un paesaggio» dalla quale emerge la storia di un patrimonio territoriale di lunga durata «ancora in larga parte integro o comunque riconoscibile e/o recuperabile, le cui qualità meritano di essere approfondite e comprese, anche perché possono costituire un valore aggiunto straordinario sia per i suoi abitanti che per le diverse filiere produttive immaginate» scrivono i ricercatori. Una storia avviata molti secoli fa, quando questo territorio «svolgeva un ruolo importante nel transito delle merci tra i porti liguri dell’attuale litorale savonese e la pianura padana, rimasto dal XVI secolo in poi ai margini dei processi economici e istituzionali».

La seconda azione, intitolata «Il paesaggio come valore aggiunto da gestire» si è concentrata sulle potenzialità delle filiere agropastorali, dell’ospitalità e della cultura. E ha permesso di dare forma a un codice che potrà essere un utile riferimento per analoghi progetti, consentendo loro di procedere più spediti nelle procedure legate alla nuova regolamentazione regionale per il ripristino delle attività agropastorali preesistenti nei paesaggi rurali storici abbandonati. La terza azione ha come obiettivo il recupero dei terrazzamenti invasi dal bosco. «L’Alta Valle Bormida – scrivono i ricercatori – possiede un esteso patrimonio di paesaggi rurali storici che nell’ultimo mezzo secolo sono stati interessati da un consistente avanzamento dei boschi d’invasione. Questi paesaggi, un tempo coltivati, comprendono molti contesti terrazzati che progressivamente divengono invisibili. I muri a secco che sostengono i terreni coltivabili, ma anche i percorsi storici e i diversi manufatti tradizionali della policoltura, definiscono una infrastruttura d’insieme essenziale per prevenire il dissesto idrogeologico, trattenere le acque, mantenere la biodiversità, oggi potenzialmente utile anche per qualificare i prodotti agricoli e l’offerta turistica».

L’assessore Gallo sottolinea: «L’approvazione del “non bosco”, con l’accordo stipulato tra Regione e Ministero, è una occasione importante per la comunità locale: tutti sappiamo quanto i nostri paesaggi, soprattutto quelli terrazzati, siano stati plasmati e mantenuti “funzionali” dall’uomo attraverso la sua attività agricola. Oggi le condizioni di lavoro sono profondamente modificate e non sempre è sostenibile economicamente continuare a coltivare i territori più “difficili” e aspri: le agevolazioni offerte vogliono essere un modo per sostenere chi accetta di mantenere viva l’agricoltura tradizionale in questi luoghi. La strada da seguire è quella dell’integrazione virtuosa tra economia e agricoltura, che si traduce anche in tutela e valorizzazione del paesaggio agrario storico di questa valle, a beneficio di tutti».

La ricerca ha messo a fuoco anche quattro focus tematici. Il primo riguarda la questione delle competenze nella trasformazione del paesaggio. Quelle già in atto e quelle future. Con un nodo: l’assenza di personale qualificato nella conoscenza del patrimonio territoriale e dell’iter procedurale. Il secondo si concentra sulle misure di contenimento già in atto e su una strategia necessaria per contenere i danni da fauna selvatica – in particolare i cinghiali. Il terzo focus si occupa delle potenzialità del pascolo nel bosco e l’ultimo mette insieme sostenibilità, energie e cambiamenti climatici. Soprattutto quest’ultimi sembrano poter rendere più appetibile il territorio rispetto a 30/40 anni fa. Sia in campo immobiliare, con investimenti provenienti dall’esterno, per nuove residenze e strutture turistiche. Sia in campo vitivinicolo: gli impatti negativi del climate change in particolare le basse Langhe, stanno generando un crescente interesse verso i terreni dell’Alta Val Bormida piemontese, caratterizzati da un’altitudine maggiore, potenzialmente in grado di ospitare nuovi vigneti. A tutto questo – come si sottolinea nelle riflessioni finali – «si abbina una buona consapevolezza da parte di alcuni singoli soggetti la volontà di investire sul territorio e su un’offerta di produzioni agroalimentari, turistiche e culturali di piccola scala e ad alto valore aggiunto, capaci di lavorare nella direzione dell’integrazione di buone pratiche di apertura al mondo esterno mantenendo però forti radici locali.

«Quel che serve per rilanciare questo angolo di Piemonte nel rispetto del paesaggio, con interventi coerenti con il piano paesaggistico co-pianificato con il Ministero della Cultura e con gli obiettivi di conservazione che si ispirano alla tradizione secolare dell’Alta Valle Bormida – conclude l’assessore Gallo -. D’altronde il paesaggio è una risorsa strategica per lo sviluppo sostenibile, da valorizzare. Con una condizione: che non sia slegata dal miglioramento della qualità della di vita di chi lo abita. L’attuazione della “parte strategica” del Piano paesaggistico ha consentito, in questi ultimi anni, di avviare e concludere interessanti e proficue collaborazioni con soggetti diversi, pubblici e privati, per realizzare progetti che abbiano ricadute concrete sui territori».