L’alluvione del 5 e 6 novembre del 1994 sconvolse il piccolo comune di Clavesana, causando distruzione, dolore e la perdita di cinque vite: Giuseppe Borra, Adriano e Giuseppe Bonino (padre e figlio), Lorenzo Monti e Giuseppe Peisino. I loro nomi sono scolpiti ai piedi del monumento che il Comune gli ha dedicato, di fronte alla Chiesa di Madonna della Neve. Michelino Chiecchio, allora sindaco, ricorda quei momenti con emozione ancora viva. A distanza di 30 anni ripercorre i gesti disperati e le decisioni difficili prese in un clima di emergenza. Un racconto doloroso che lo riporta anche a una comunità unita, forte e solidale di fronte a una catastrofe.
Come ricorda quel terribile giorno?
«La giornata era iniziata come tante, anche se la pioggia batteva forte già dal mattino. Mi trovavo a salire verso il Comune, quando ho visto il fiume Tanaro che cominciava a invadere la strada nella frazione Borra, la stessa frazione che poi sarebbe stata cancellata dall’alluvione. Ho attraversato il fiume, sono arrivato in Municipio, e lì il tecnico mi ha rassicurato: era passato da poco e non c’erano stati problemi. Ma sentivo dentro di me che la situazione stava peggiorando rapidamente».
E poi cosa è successo?
«Verso le dieci e un quarto, dieci e mezza, ho deciso di tornare a controllare. La strada era già sommersa. Ho avvisato il tecnico di chiamare la Prefettura e di chiudere il Comune. Nel frattempo, sono corso nelle scuole per far evacuare i bambini e farli portare a casa. Non avevamo la Protezione Civile come oggi; tutto era lasciato all’iniziativa personale. Quel giorno ho fatto tutto quello che ho potuto, cercando di proteggere le persone del mio paese».
Quali sono state le prime azioni che ha intrapreso per mettere in sicurezza i cittadini?
«La priorità era avvisare tutti il più rapidamente possibile. Come primo passo ho chiamato il tecnico e gli ho detto di informare immediatamente la prefettura e le autorità locali. Poi sono andato nelle scuole per avvisare gli insegnanti di preparare i bambini all’evacuazione e organizzarne il rientro a casa. In quell’emergenza, senza il supporto della Protezione Civile, ogni decisione doveva essere rapida e risoluta. Abbiamo chiuso i due ponti per bloccare il traffico, evacuato intere frazioni e avvisato le famiglie di mettersi in salvo. Con il consigliere e il cantoniere, siamo andati porta a porta per aiutare tutti a uscire dalle zone a rischio».
Ci sono stati episodi che l’hanno segnata?
«Sì, alcuni episodi sono difficili da dimenticare. Penso al papà che è voluto passare con suo figlio, nonostante gli avessimo chiesto di aspettare. Hanno rimosso le fettucce di sicurezza per attraversare il ponte e sono rimasti intrappolati: loro sono stati i primi due a non farcela. Un altro momento tragico è stato quello del ragazzo che non ha voluto lasciare la casa, convinto che l’alluvione non potesse colpirlo. È andato in garage per salvare la sua auto, ma il livello dell’acqua è salito troppo in fretta. Purtroppo, non siamo riusciti a salvarlo in tempo».
Ha mai temuto per la sua vita?
«Sì, il destino ha giocato un ruolo incredibile. Ricordo un momento preciso: mi ero offerto di andare dall’altra parte del fiume per fare da guida ai sommozzatori liguri che in serata erano venuti ad aiutarci, ma un mio conoscente, ha insistito per andare al mio posto: “Se permetti conosco il percorso come te”, mi ha detto. Sono partiti lui e un giovane di Clavesana, ma il ponte Mascagno a Piozzo è crollato mentre tentavano di tornare indietro. Loro non ce l’hanno fatta. Purtroppo, ho scambiato il mio posto all’ultimo momento».
Com’è stato gestire l’emergenza senza le risorse attuali?
«È stata una sfida enorme. Eravamo solo noi e qualche volontario. La solidarietà è stata immensa: fin dai primi momenti, siamo stati invasi da gente che voleva aiutare. Organizzare tutto, però, era complicato. Clavesana è un piccolo comune, abituato a gestire 900 abitanti, e d’un tratto ci siamo trovati a dover coordinare migliaia di persone. È stato fondamentale il supporto degli Alpini, della Finanza e dei Carabinieri, che ci hanno permesso di andare avanti. Tutte le volte che penso a quelle giornate mi viene ancora adesso la pelle d’oca. Noi ci siamo trovati dalla sera al mattino a essere un paese distrutto, senza servizi e addirittura senza poter accedere agli uffici comunali».
Quanto è durata la fase di ricostruzione?
«Ci sono state due fasi: la prima, per rendere nuovamente abitabili le case danneggiate della frazione Gerino, è durata circa un mese. Poi è iniziata la vera e propria ricostruzione della frazione Borra, che è durata due anni. Siamo riusciti a sistemare le persone in case libere nei dintorni. La collaborazione tra amministratori locali è stata cruciale: non c’era competizione, ognuno di noi voleva solo aiutare».
Oggi esiste un sistema di Protezione Civile ben strutturato, anche grazie a eventi come questo.
«Sì, oggi possiamo contare sulla Protezione Civile, e devo dire che questo tragico evento ha portato a una maggiore consapevolezza e collaborazione tra amministratori locali. Dopo l’alluvione, ci siamo riuniti spesso, abbiamo pianificato insieme ogni operazione. Da quella tragedia è nato un modo nuovo di lavorare, uniti e solidali, per evitare che qualcosa del genere accada di nuovo».
Articolo a cura di Daniele Vaira