In occasione del trentennale della terribile alluvione che colpì il Piemonte nella notte tra il 4 e il 5 novembre 1994 sono diversi gli eventi e le celebrazioni in programma in tutta la provincia di Cuneo. Lunedì 11 novembre, dalle 9 alle 18,30, presso la sala “M. Torta Morolin” del teatro sociale “G. Busca” di Alba, si terrà il seminario formativo nazionale “La lezione del Tanaro 1994-2024. Memorie, insegnamenti e prospettive future”. Il convegno è organizzato dall’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Cuneo, con la collaborazione di Fiopa. In vista del prestigioso appuntamento, in cui interverranno autorità politiche ed esperti del settore, abbiamo intervistato l’ingegnere idraulico albese Sergio Sordo, che sarà tra i relatori della giornata.
Ingegnere, quali saranno le peculiarità dell’evento?
«Si tratta di un convegno che avrà anche una funzione didattica: agli ingegneri che parteciperanno verranno, infatti, attribuiti dei crediti formativi. L’evento partirà dalla memoria di quello che è capitato per poi passare alle soluzioni delle varie problematiche – anche drammatiche – che si sono verificate. Il titolo vuole evidenziare proprio questo: ciò che abbiamo imparato in questi 30 anni dall’alluvione e come ci siamo mossi per poter minimizzare il rischio».
Come si è agito in questi anni per la ricostruzione e per garantire la sicurezza della popolazione e del territorio?
«Dal 1994 ad oggi è stato fatto tanto perché i grossi corsi d’acqua in Piemonte sono stati tutti minimizzati e man mano si è proceduto poi anche sulla rete idrografica minore. Sono state realizzate arginature, difese spondali e soprattutto è venuta a crearsi una nuova consapevolezza del territorio, che deve essere rispettato. In particolare mentre nelle zone cittadine si prevede una concentrazione dei flussi per farli defluire velocemente al di fuori delle stesse, nei tratti di campagna invece le acque devono potersi allargare nelle aree limitrofe al corso d’acqua in maniera tale da rallentare e diminuire la portata defluente».
Ci sono ancora segni tangibili della catastrofe naturale del 1994?
«Nel caso specifico di Alba, che ho seguito direttamente per conto dell’ex Magistrato per il Po – oggi AiPo -, tutte le opere sono state completate. Non ci sono quindi interventi da eseguire, ma questo non vuol dire che sia completata l’opera di minimizzazione».
Quella, d’altra parte, è sempre in atto.
«Esattamente. Bisogna sempre mantenere in efficienza le opere idrauliche attraverso una manutenzione costante ed evitare il sovralluvionamento, ossia il deposito di materiale nell’alveo che va a ridurre la sezione idraulica e potrebbe andare ad ostruire le luci dei ponti e quindi compromettere l’efficienza dei manufatti idraulici. Ovviamente a 30 anni dall’alluvione bisognerebbe anche spostarsi su una consapevolezza idraulica che deve essere volta non tanto a velocizzare l’acqua, quindi a concentrarla, ma – laddove è possibile – a farla allargare. Una pianificazione a più ampio respiro, ad esempio, è quindi quella che prevede delle opere o delle politiche di laminazione».
Importanti sono stati anche gli sviluppi sul fronte della previsione.
«In un contesto di bacino vuol dire avere tutta una rete di idrometri o di livelli di allertamento per cui si riesce a gestire la piena e a prevedere la sua evoluzione con una certa attendibilità. Nel 1994 c’era ben poco, ma adesso sono stati fatti dei passi da gigante in questo senso».
Proprio qualche giorno fa, a Bologna, un professore si è messo in salvo calcolando la piena.
«Ci sono dei modelli di evoluzione della piena lungo il corso del fiume che tengono conto sia delle piogge, sia dei contributi dei corsi d’acqua tributari e questo permette di avere delle informazioni. Addirittura si riesce a sapere con alcune ore di anticipo quale potrebbe essere il livello che raggiungerà la piena. In questi modelli è molto importante la taratura: realizzato un modello teorico, in base al suo comportamento, con essa si effettuano poi delle piccole modifiche per rendere la previsione sempre più precisa e sovrapponibile a ciò che capita. Al di là delle piccole variazioni, comunque, è importante capire il tipo di fenomeno con cui si ha a che fare e mettere in atto le procedure utili per minimizzarlo».
Qual è il primo ricordo che le viene in mente di quella terribile notte?
«Furono giorni difficili, pioveva quasi di continuo. Quella notte andò via l’elettricità e al mattino seguente ci trovammo di fronte ad un’atmosfera desolante. Nel primo pomeriggio andai in Ferrero per cercare di dare una mano. Da ingegnere idraulico fu davvero traumatico passare dallo studiare certe cose sui libri a vederle dal vivo».
Qual è oggi l’eredità di quella tragedia e quanto conta ricordarla?
«Il ricordo deve essere doveroso innanzitutto per le vittime, ma anche per il patrimonio di dati che è stato registrato. Le informazioni raccolte vanno mantenute e tramandate alle future generazioni, in particolare ai giovani ingegneri. Tra le eredità vi sono poi una nuova consapevolezza del fiume e il rispetto verso la natura. Si è visto che quando si scatena fa veramente tanti danni e allora viene fuori un nuovo approccio nei suoi confronti».
Articolo a cura di Domenico Abbondandolo