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«Oliveti in Granda? Li vedremo crescere con scelte adeguate»

Davide Mondino, presidente agronomi Cuneo: «Ora si diffonde anche il mandorlo e c’è chi pensa al pistacchio. Più che il clima, comanda il mercato»

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Si parla molto delle coltivazioni di olivo che si stanno affermando anche in Piemonte e nel Cuneese a fianco dei vigneti, come conseguenza delle mutate condizioni climatiche. Su IDEA avevamo già affrontato il tema nei mesi scorsi, ora siamo partiti da questo spunto per il nostro colloquio con Davide Mondino, presidente dell’Ordine dei Dottori Agro­nomi e dei Dottori Forestali de­l­la provincia di Cuneo. «L’ar­gomento è abbastanza noto per gli addetti del settore – ci ha spiegato -. Parliamo di olivo e anche di mandorlo. Ma mentre il primo cresce un po’ dappertutto, il secondo è una particolarità nelle nostre zone».

Queste nuove coltivazioni arrivano come conseguenza diretta delle mutazioni climatiche?

«Diretta non direi, se fa più caldo le aziende si orientano sulle colture che sembrano adattarsi meglio. Ma la verità è che si sceglie l’olivo soprattutto per un motivo: perché rende economicamente».

Sappiamo che gli oliveti esistevano in Piemonte già nell’antichità.

«Ci sono citazioni storiche a ricordarcelo e ad esempio il vecchio nome di Costigliole Saluzzo: Costa Olearum, la collina degli olivi. Ma le gelate del ’700 azzerarono tutto. Il clima che cambia spinge alcuni a valutare per esempio anche la coltivazione del pistacchio. In Francia sono già partiti. Le conseguenze dirette del clima le abbiamo viste su disponibilità e gestione dell’acqua. Le annate più o meno piovose, in un arco di cinque anni, incidono sulle colture. Poi ci sono le variabili economiche. Si continua a puntare sul mais perché è comodo, ha una filiera con costi contenuti. Se parliamo di arbusti e alberi, c’è interesse per la frutta a guscio in generale: noci, nocciole, castagne. E in mezza collina, senza escursioni termiche eccessive, l’olivo».

C’è poi da considerare la nuova sensibilità delle persone in tema di cultura alimentare?
«Molto. Nel lungo periodo si mangerà sempre meno carne, quindi vediamo in crescita tutte le colture proteiche (quella della frutta da guscio è un esempio classico). E pensiamo anche ai legumi, per esempio ai fagioli, sempre più importanti nelle diete alternative alla car­ne».

Veniamo all’uso dei diserbanti in agricoltura: qual è la situazione nel Cuneese?
«C’è un’inversione di tenenza, ma non è dettata da ragioni culturali, anche se in Europa ab­biamo giustamente assunto un ruolo da difensori di un am­biente più pulito. Se da noi l’uso dei diserbanti è sparito quasi del tutto, lo dobbiamo principalmente alle normative emesse in questo senso. Ri­spetto ad altre zone del mondo, abbiamo perso una marea di diserbanti, nei prossimi due o tre anni avvicineremo quota zero. Mi occupo proprio di pe­sticidi e tocco con mano questo cambiamento».

Un ottimo risultato, o no?

«Certo, l’unico problema è che – essendo ridotte al minimo le sostanze chimiche consentite – alla fine si usano quelle poche autorizzate, sempre le stesse».

Se dovesse scattare una fotografia del settore agricolo, cosa evidenzierebbe?
«Il calo demografico resta il problema a monte, nel senso che non c’è ricambio generazionale nelle aziende. L’età media è altissima e nelle piccole realtà non ci sono giovani che subentrano alla guida. Un trend inevitabile. Ma se le aziende piccole hanno avuto fin qui ruoli di presidio del territorio, con basse emissioni, nel futuro l’aumento di aziende più grandi potrebbe portare input diversi, un po’ come accade per la grande industria che sostituisce i piccoli artigiani. C’è comunque una notevole trasformazione in atto».

Cosa porterà di buono?
«Resisteranno le piccole aziende che producono eccellenze. Quelle guidate da imprenditori poco capaci, spariranno».

E il Cuneese vive di eccellenze.

«Diciamo che è più facile comprenderne l’importanza».

Quello dell’olio può diventare un business preponderante?

«Non credo, vediamo alcuni esempi ma non ancora a livello di settori come il vitivinicolo o per le nocciole. Sta però partendo un progetto importante per il distretto cebano-monregalese, dove la coltura delle piante officinali è andata in crisi e si tenterà di sostituirla con l’olivo. Lì potrà esserci una bella espansione – come nelle Lan­ghe – ma con il supporto di politiche intelligenti».

Qual è l’urgenza da risolvere sul territorio?
«Quella dell’acqua. Ma attenzione, disciplinare l’acqua non vuol dire semplicemente intubarla. Il problema è che l’acqua, con i sistemi tradizionali, scorreva nei canali. Aveva però un’efficienza bassa, allora si pensò a intubare. Ora la soluzione non è neanche il grande bacino che, per mille motivi, non si riuscirà mai a realizzare. Forse ci riusciremo con i piccoli bacini, ma parliamo comunque di tempistiche non immediate. Sulle tecniche irrigue si può fare qualcosa».

Altro tema d’attualità, le energie alternative.

«La quota del fotovoltaico che il governo ha assegnato al Pie­monte è enorme. Tutelare i territori non sarà facile, ci sono richieste da tante piccole aziende ma non basteranno. E le richieste che vengono avanzate oggi verranno soddisfatte tra una decina d’anni. Vedere gli impianti a terra non è bello, parliamoci chiaro, specialmente tra le colline delle Langhe. A Cuneo ci sono già una decina di impianti e non sono pochi. E poi mi permetta un’osservazione personale: tutte le alternative al nucleare di quarta generazione portano problemi, i fiumi si svuotano per le troppe derivazioni elettriche, le pale eoliche non possono essere tante. Insomma, servirà molta attenzione».