Home Articoli Rivista Idea «In Argentina vivono le tradizioni che noi stiamo perdendo»

«In Argentina vivono le tradizioni che noi stiamo perdendo»

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Paolo Tibaldi, attore piemontese, ha iniziato il suo percorso professionale lon­­tano dai riflettori del palcoscenico. Dopo aver completato gli studi in ragioneria, ha lavorato per un breve periodo in ufficio, ma quel lavoro, come lui stesso racconta, non rispecchiava la sua vera vocazione. È stata la passione per il teatro e la parola a guidarlo verso un percorso artistico dedicato alla riscoperta delle radici e delle tradizioni piemontesi. Oggi, la sua carriera è una celebrazione del linguaggio e delle storie della sua terra, e si prepara a portare questo bagaglio culturale in Argentina, dove incontrerà le comunità italiane che, secoli fa, hanno lasciato il Piemonte alla ricerca di nuove opportunità.

Cos’è il progetto “Turismo de­lle radici” e perché ha de­ciso di parteciparvi?
«Turismo delle radici è un’iniziativa ministeriale pensata per ricostruire un legame culturale tra le comunità italiane nel mondo e la loro terra d’origine. Ho deciso di partecipare perché sento una forte connessione con questo te­ma: molte comunità piemontesi si sono stabilite in Ar­gentina, mantenendo vive tradizioni e linguaggi che qui rischiano di perdersi. Per me, questa è un’opportunità preziosa per esplorare un’identità culturale che unisce la mia terra al Sudamerica».

Ci racconti di più sul legame personale che ha con l’Ar­gentina.

«Il tema dell’Argentina è qualcosa che mi accompagna da molti anni. Tutto è iniziato con l’amicizia con Emilio, un caro amico d’origine argentina, i cui nonni erano italiani. Quando Emilio è tornato a vivere in Piemonte, abbiamo parlato spesso dell’Argentina e delle nostre radici comuni. Poi c’è stato l’incontro con l’associazione culturale Ar­van­gia, fondata da Donato Bosca, che ha sempre lavorato sul tema della migrazione piemontese, so­prattutto quella verso l’Ar­gentina. Infine, l’estate scorsa, il comune di Guarene mi ha chiesto di mettere in scena uno spettacolo sulla migrazione piemontese. Così è nato “Me­rica”, uno spettacolo che esplora la migrazione del Nove­cento, un argomento ancora molto sentito qui. Questo spettacolo è stato il primo passo verso questo viaggio».

Quali saranno le tappe principali del viaggio e cosa farà una volta in Argentina?
«Partirò il 17 novembre e sarò lì fino all’11 dicembre, attraversando diverse province argentine. Nella prima parte del viaggio, organizzata da Alejandra Gaido della Fapa (Federazione associazioni piemontesi argentine), visiterò comunità piemontesi nelle province di Cordoba e Santa Fe, tenendo spettacoli e in­contri principalmente in piemontese. Nella seconda parte mi sposterò a Mendoza, San Juan e San Luis, dove collaborerò con l’Università di Cuyo e la Società Dante Alighieri, rappresentata dalla professoressa Liliana Mollo. Qui farò un lavoro teatrale e narrativo, alternando italiano, piemontese e spagnolo, cercando di costruire un dialogo che superi le barriere linguistiche».

Come intende documentare questa esperienza e condividerla al suo ritorno?

«Terrò un diario di bordo e registrerò dei messaggi audio che verranno trasmessi in Italia su Radio Vallebelbo. Que­sti strumenti mi permetteranno di creare un filo diretto con il Piemonte durante il viaggio. Al mio ritorno, organizzerò incontri nei comuni che mi sostengono, dove racconterò quello che ho vissuto e ascoltato. Per me, questo viaggio è una scoperta continua: ogni tappa, ogni incontro, ogni testimonianza arricchirà il progetto».

Il teatro e la parola sono centrali nella sua carriera. Come si è avvicinato a questi strumenti espressivi e quanto so­no importanti per lei?
«Il mio primo contatto con il teatro è stato da bambino, a cinque anni, con una battuta che ricordo ancora: “Oh sì, bella idea!”. È stata una battuta che ha segnato il mio percorso, un auspicio che mi ha accompagnato fin dall’infanzia. Dopo aver studiato ragioneria e aver lavorato per un breve periodo in ufficio, ho capito che c’era qualcosa che non quadrava: il mondo dei numeri non faceva per me. Sentivo il bisogno di un am­biente più umanistico, e così mi sono dedicato al teatro e alla parola, strumenti che mi permettono di raccontare storie, di comunicare emozioni e di promuovere la cultura piemontese».

Nei suoi ultimi lavori ha continuato a esplorare il tema delle radici e dell’identità, come dimostra il film “Onde di Terra”. Cosa rappresenta per lei questo progetto?
«“Onde di Terra” è un film di Andrea Icardi, ambientato nelle Langhe negli anni ’70, che racconta la storia di Ful­via, una giovane calabrese che decide di trasferirsi in Piemonte per sposare Ame­deo, un contadino locale. Io interpreto Remo, un “bacialé” (intermediario matrimoniale), e ho collaborato anche alla scrittura della sceneggiatura. È un film che esplora l’identità, la migrazione e l’im­portanza delle radici, elevando il ruolo della donna nella società rurale. È stato un progetto che ha richiesto pazienza, girato in diverse stagioni per catturare l’essenza della terra e del tempo. È un film che mi sta molto a cuore, perché parla delle mie radici e della gente che mi circonda, con un’onestà che prende le distanze dalla retorica. Non so se mi capiterà di partecipare a un progetto simile in futuro: “Onde di Terra” è unico, perché racconta veramente il nostro territorio, le nostre tradizioni e il nostro modo di essere, senza filtri e senza artifici».

Articolo a cura di Daniele Vaira