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“Giurato numero 2” un altro capolavoro di Clint Eastwood

L’ultimo film del 94enne regista ed ex attore racconta con apparente leggerezza una tormentata vicenda processuale e ricorda un’altra opera esemplare dello stesso filone: “La parola ai giurati” di Sidney Lumet

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In tanti lo hanno definito, senza mezzi termini, un capolavoro. Del resto, Clint Eastwood ci ha abituato molto bene e “Giurato numero 2” , l’ultimo film del regista ormai 94enne può decisamente rientrare nella categoria.
Si tratta di un film provocatorio pur senza averne però la posa, spietato nei confronti di alcune certezze legate alla cultura americana. Un film processuale fuori norma ma dalla fine scrittura, grazie anche a eccellenti interpreti che non sono (ancora) grandi star. La trama racconta i tormenti del giovane Justin Kemp (Nicholas Hoult), presto padre e sempre preoccupato per la moglie incinta Ally (Zoey Deutch), il quale non osa confidarle di esser stato testimone del litigio violento avvenuto davanti a un locale, tra la vittima e l’imputato per omicidio. Un crimine di cui non aveva letto nulla prima di divenire giurato: se ne rende conto solo durante il dibattimento.
Anzi: capisce di essere stato proprio lui ad aver ucciso la compagna dell’imputato (interpretata da Francesca East­wood, figlia del regista) investendola con l’auto nella campagna della Georgia, sommersa da una pioggia battente. Scopre dunque che quello che aveva colpito non era un cervo. Da quel momento comincia un gigantesco tormento vissuto in solitudine. Justin non vuole creare preoccupazioni a sua moglie, che fatica a muoversi nella fase finale della gravidanza. Il suo avvocato gli sconsiglia di denunciare la verità: i precedenti da alcolista basterebbero a mandarlo in galera. Justin cerca di ripulirsi la coscienza, provando a salvare l’imputato in un’ impresa che pare impossibile. La pubblica accusa ha convinto quasi tutti i giurati. L’assenza di domande realistiche sulla dinamica dei fatti, degli elementi e delle testimonianze presentate dal­l’ac­cusa lascia Justin sconcertato: «Deve marcire in galera».
Il film mette in discussione l’intera macchina giudiziaria statunitense partendo in primis dalle giurie popolari, con una modalità quasi discreta. Nel rappresentare il carrierismo, attraverso il personaggio della pubblico ministero Fai­th Killebrew, Eastwood stigmatizza quello che per lui è uno dei grandi mali del suo paese, fondato sul mito del successo e sulle apparenze. Più ci si addentra nelle discussioni della giuria e più si ripensa a uno dei capolavori del regista Sidney Lumet. Il suo celebre film d’esordio “La parola ai giurati” (1957) che resta un esempio insuperato di cinema civico e pedagogico. A novantaquattro anni, Clint Eastwood è l’unico regista americano ad aver messo le dita (cioè la cinepresa) su quasi tutte le piaghe che affliggono il suo paese, a cominciare dalla mascolinità e dall’eroismo. Nel precedente lun­gometraggio, il bellissimo “Cry Macho” (2021), interpretava un anziano burbero, disilluso ma umano che entrava in empatia profonda con un adolescente latino liberandolo dall’ossessione di dover essere per forza un macho. In “Gran Torino” (2008) era un adolescente asiatico a entrare nel cuore di un anziano veterano fanatico delle armi, fino al punto di spingerlo all’immolazione. C’è poi la sparizione di ogni prospettiva per il futuro dei figli, come in “Un mondo perfetto” (1993) o in “Mystic river” (2003), dove l’America è ridotta a una stanza buia, oscurata dalle ombre della pedofilia. Fin da “Gli spietati” (1992), invece, non è più tempo di eroi, non è più il tempo del mito.
Quest’umile capolavoro ci in­segna a guardare alla propria coscienza per andare oltre tutti gli schemi, grandi inquinatori di ogni futuro dell’umanità. È un messaggio molto forte e non poteva che arrivare da una persona saggia, matura, oltre che da un intellettuale inconsueto come Eastwood. “Giurato numero 2” potrebbe essere il suo lavoro definitivo, chissà. Intanto lo apprezziamo e lo ringraziamo per la sua analisi della società americana. Che sa an­che guardarsi dentro con estrema lucidità.