Home Articoli Rivista Idea «Un paese allo stadio: ho scritto la storia della Cairese in C2»

«Un paese allo stadio: ho scritto la storia della Cairese in C2»

Daniele Siri nel 1985 seguì da vicino la promozione della squadra di Cairo Montenotte: «Erano altri tempi»

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A pochi chilometri dal­la Granda, in quel paese in provincia di Savona la partita della domenica era diventata l’ap­puntamento settimanale più atteso da tutti: anche da chi non era appassionato, anche da chi abitava a chilometri di di­stanza e arrivava lì apposta per vedere la gara, anche da chi prima non era mai andato allo stadio. Dal 1982 al 1985, a Cairo Montenotte il calcio era diventato più di un semplice sport. Merito della Cairese, che in pochi anni ottenne sul cam­po la promozione in serie C2, al termine di un percorso di cui tutti, in paese, si sentivano par­te. Lo ripercorre il giornalista Daniele Siri con il suo nuovo libro “Così si gioca(va) solo in Paradiso”, arabAFenice editore. Domani, venerdì 29 no­vembre, è in programma la prima presentazione del volume, alle 21 al teatro comunale “Osvaldo Chebello” di Cairo Montenotte. Partecipano anche i calciatori protagonisti dei successi degli anni Ottanta. Siri, all’epoca, li aveva raccontati col­laborando con il quotidiano Tuttosport, i settimanali L’An­co­ra di Acqui Terme, La Gaz­zetta del Lunedì di Genova e il mensile L’Interregionale di Mo­dena. «Qualche anno fa avevo già scritto un libro sulla storia della Cairese – ripercorre l’autore, originario di Cairo Mon­tenotte -. L’impresa che ha portato la squadra fino all’allora serie C2, però, meritava un racconto a parte».

Cosa l’ha resa unica?

«Tutto ciò che c’era intorno alle gare in campo, che di per sé erano già un qualcosa di unico e meraviglioso per un paese di poco più di 10mila abitanti come il nostro. Quasi all’improvviso, la gente aveva iniziato ad andare allo stadio. Non qualcuno: tutti, dalla casalinga all’imprenditore».

I giocatori erano del posto e il pubblico li sosteneva perché li conosceva personalmente?
«Tutt’altro. Solo qualche riserva era di Cairo o dei dintorni. Gli altri arrivavano da Genova e da altre parti della Liguria. Da subito, però, sono stati bravi a integrarsi in paese. La gente, più che alla squadra, si era affezionata al progetto della Cairese, soprattutto grazie alla visione del presidente Cesare Brin».

È stato lui a guidare la Cairese dal 1977. In cosa ha fatto la differenza?
«Si era fatto affiancare dalle persone giuste, come il direttore sportivo Spinello, e aveva investito. Era arrivato a Cairo anche il bomber Marco Lini, di Sa­vona. Così la Cairese ha iniziato a vincere. Molti giocatori non erano del territorio, ma tante per­sone che avevano incarichi nella so­cietà sì. Lavorava come farmacista. Sui giornali dell’epoca, per questo, avevo scritto che aveva trovato la “ricetta giusta”».

Brin era conosciuto anche per le sue polemiche, vero?
«Era sempre istrionico, esplicito, a volte quasi troppo. Ri­cordo una serie di rinvii per maltempo proprio nella stagione 1984-’85. La Federazione aveva obbligato la Cairese a recuperare una gara di mercoledì, mentre il Moncalieri e il Casale avevano potuto giocare di domenica. Era furioso, aveva persino coinvolto la giustizia sportiva».

Qual era il clima tra i giocatori?

«Vivendolo da esterno, ricordo grande determinazione, grinta e voglia di scendere in campo. C’era una bella complicità tra tutta la squadra. Sono contento che (domani, ndr) molti di loro verranno anche alla presentazione. Nell’immagine di copertina, curata dal pittore Giovanni Pascoli, ci sono anche Lini e Giovanni Rando, che purtroppo non sono più tra noi».

L’emozione più bella del percorso che ha portato la Cairese in serie C2?

«12 maggio 1985: l’arbitro Bonci di Siena fischia la fine del­la gara, siamo promossi».

Cosa servirebbe oggi per da­re di nuovo vita a un progetto che coinvolga tante persone come quello degli anni Ottanta?

«Erano altri tempi, non credo sia replicabile. Immaginate avere più di 2.000 persone a vedere una partita di calcio a Cairo Montenotte: come si potrebbe fare? All’epoca non serviva neanche la città. La gente veniva allo stadio da sola, le bastava sentire alla radio locale che c’era la partita. Sono contento, però, che da qualche anno ci sia di nuovo chi ha voglia di credere e investire nella Cairese. Il passato che racconto nel libro non può essere un metro di paragone. Bisogna celebrarlo e guardare al futuro, con nuovi obiettivi».

Articolo a cura di Luca Ronco