Tremende, dispettose, a volte malvagie altre semplicemente fastidiose, sanno trasformarsi in animali e, quando si arrabbiano, possono scatenare bufere e grandinate. “Gemmadora”, il nuovo romanzo dell’autrice di Ceva, Paola Gula (Golem edizioni, 18,50 euro), racconta delle masche, le streghe del folklore langarolo e piemontese. «Per me è un tema delicato -presenta -. Per questo, ho aspettato tanti anni prima di pubblicare questo libro. Lo avevo scritto nel 2013. Il momento giusto per la sua uscita era adesso».
Gula è anche giornalista enogastronomica ed è stata giudice del programma “La prova del cuoco”, su Rai 1. Domani, venerdì 13 dicembre, presenterà il suo volume al teatro di Narzole con Federico Gregorio (ore 21, ingresso gratuito con prenotazione).
Gula, perché le masche sarebbero un tema delicato?
«Perché è un argomento complesso, profondo, che parte dell’essenza dei nostri territori. Tanti le raccontano in modo semplicistico, come se fossero una macchietta: una credenza senza fondamento, legata ai tempi passati, del tutto superata oggi che la scienza ha fatto tanti progressi. Io non volevo banalizzarle in questo modo, anche per una ragione personale: fanno parte anche della mia storia».
Nel senso che crede davvero che esistano?
«Sospendo il giudizio. Ma ricordo bene quando, da piccola, seguivo mio papà nel suo lavoro da veterinario. Occupandosi di grandi animali, non aveva uno studio, ma andava nelle cascine di molti paesi dell’Alta Langa. Mentre eravamo in macchina, mi raccontava le storie delle masche, ambientate nei paesini che stavamo attraversando».
Gemmadora, la protagonista del suo romanzo, diventa masca senza esserne consapevole e senza sapere cosa voglia dire esserlo.
«Esatto. La sua inconsapevolezza è un elemento molto importante del romanzo. Lei si scopre masca pagina dopo pagina e, al tempo stesso, il lettore scopre poco alla volta cosa significhi essere una masca. In questo modo, anche chi non ha mai sentito parlare di queste creature, può capire la loro storia. Mi sono documentata molto prima di scrivere. Il mio è un romanzo leggero, divertente, ma racconta in modo rigoroso questo tema così affascinante».
Prima della trasformazione, chi è Gemmadora?
«Una ragazza aristocratica, a cui viene imposto di sposare un uomo che non le piace. Non lo accetta, ma decide di scappare e coltivare il suo sogno: produrre birra artigianale. Per questo cerca di raggiungere Piozzo, un paese che non ho scelto a caso, visto che è dove è stato fondato il birrificio Baladin di Teo Musso, tra i migliori d’Italia.
Per un imprevisto, però, Gemmadora sbaglia destinazione. Arriva a Paroldo, tra i paesi “principi” delle masche.
Quando scrivo, mi piace sempre raccontare il mio territorio. Paroldo è un vero gioiello. Qui il folklore delle masche era ed è molto radicato. Sono le protagoniste dei racconti che, fino qualche anno fa, si facevano la sera, nelle stalle. C’è una storia su questo paese che mi ha sempre affascinata».
Quale?
«Durante l’epidemia di spagnola, anche nelle Langhe ci furono molte vittime. A Ceva, per esempio, morirono tante persone. A Paroldo neanche una».
Merito delle masche?
«Anche qui: sospendo il giudizio. Però la storia è affascinante. Loro si trasformano in animali. Gemmadora, per esempio, diventa un gatto nero e continua a darsi da fare per realizzare il suo sogno di diventare birraia. Le masche sono dispettose, a volte malefiche. Ma possono anche proteggerti. O almeno: così si dice».
Perché ha aspettato dieci anni prima di pubblicare questo libro?
«Sentivo che, prima d’ora, non era il momento giusto. Come sempre, io l’avevo scritto per me, senza pretese. Però mi sono documentata tanto, leggendo quasi tutti gli studi sulle masche. L’ho perfezionato e ho sentito che ora era pronto per essere condiviso con i lettori».
Il gatto nero raffigurato nella copertina di Gianluca Cannizzo è Gemmadora?
«Sì. Questa copertina, per me, è un sogno diventato realtà. Ammiro tanto Cannizzo per i suoi lavori. Ha saputo rendere benissimo le emozioni che ho immaginato per la mia storia e che, spero, arriveranno a tutti i lettori».
Le piacerebbe essere una masca?
«Non so. Sicuramente, mi piace tanto leggerne e parlarne. Mi affascinano tanto. Spero che non ci si dimentichi di loro. Indipendentemente da ciò a cui si crede, sono un elemento prezioso delle nostre tradizioni, da conservare. Sono un tratto distintivo, ma non solo. Tante culture e tanti territori hanno personaggi simili alle nostre masche: tutti diversi, tutti simili, tutti affascinanti».
Articolo a cura di Luca Ronco