Nati e residenti a Rore di Sampeyre, a 32 anni i gemelli Dematteis dominano la scena agonistica continentale e iridata dando una messe di successi all’Italia. E detengono il primato dell’ascesa al Monviso…
I fratelli Dematteis sono sportivi di livello mondiale e non è esagerato definirli così, come tra poco dimostreremo a chi non li conoscesse ancora, eppure non “se la tirano” per niente. A colpire di più è proprio questo: la loro semplicità. Una caratteristica che, forse, arriva dalla montagna, dalla borgata Rore, 140 anime nel territorio comunale di Sampeyre, in valle Varaita. Lì sono nati e cresciuti, lì continuano a vivere, dove respirano la cultura e le radici occitane.
«è e sarà sempre casa nostra, a prescindere da dove ci porterà la vita», ripetono in coro Bernard e Martin, 32 anni e ancora tanta voglia di correre.
La montagna, casa loro, non poteva che segnarne anche la vita sportiva. E così la corsa in montagna, dapprima passione, è diventata qualcosa di molto più grande. Grazie a polmoni e gambe non comuni, e a tanto allenamento, i gemelli Dematteis in due hanno messo insieme qualcosa come dodici medaglie tra europei e mondiali. L’ultimo successo, quello più fresco, è una delle pagine più belle della storia della corsa in montagna italiana e ha un posto speciale anche nell’album dei ricordi familiari dei Dematteis. A Skopje, in Macedonia, lo scorso primo luglio Bernard si è laureato campione continentale per la terza volta in carriera, con Martin al terzo posto.
In mezzo, a completare un podio tutto azzurro, un altro atleta italiano, Cesare Maestri.
«Avevo vinto già due titoli europei, ma non ci si stufa mai di queste emozioni», racconta Bernard. «Se me l’aspettavo? Diciamo che stavo bene ed ero preparato, ma, quando arrivi a queste grandi manifestazioni, non sai mai cosa può succedere: sono davvero felice di avercela fatta. E poi mio fratello terzo è stata la ciliegina su una torta bellissima».
«Un’emozione pazzesca», gli fa eco Martin. «Essere sul podio insieme a mio fratello è stata una gioia incredibile. In più c’è l’orgoglio di aver regalato una tripletta storica all’Italia. Ero quarto a poche centinaia di metri dal traguardo, ma nel finale sono riuscito a superare l’atleta turco che mi precedeva e a togliermi questa bella soddisfazione. Mi chiamano “il kenyano bianco” per i miei finali: diciamo che stavolta mi sono meritato il soprannome!».
Inseparabili, Martin e Bernard da sempre corrono insieme. E la montagna ce l’hanno nel Dna. La capacità di correre forte, quella l’ha donata madre natura, ma i due gemelli l’hanno coltivata e levigata negli anni, con sacrifici e duri allenamenti. «I nostri genitori ci hanno trasmesso la passione per la montagna», raccontano. «Nascendo a Rore, fin da piccoli abbiamo respirato la montagna, quella vera. La passione sportiva è invece arrivata con il tempo. Abbiamo provato diverse attività: il calcio, lo sci di fondo… Però ci piaceva correre, anche solo con gli amici giocando a guardie e ladri: ci dava una bella sensazione, ci faceva sentire liberi. Allora a 13 anni abbiamo deciso di provare a farlo come sport».
Il ricordo della prima gara è indelebile: «Eravamo a Verzuolo, era il 21 giugno 1999, ma sembra ieri. Avevamo un po’ di paura, era la prima volta che entravamo in contatto con un nuovo mondo. In realtà quel giorno abbiamo capito che quella avrebbe potuto essere la nostra strada e abbiamo anche incontrato per la prima volta Giulio Peyracchia, il quale poi è stato il nostro storico allenatore per 15 anni (adesso è Paolo Germanetto, ndr) e con cui ancora oggi abbiamo un rapporto davvero speciale». Una bella storia che ha regalato pagine indelebili. Successi, gioie, delusioni (poche) ed emozioni, come nel luglio del 2016, quando agli europei di Arco di Trento Bernard aspetta Martin sul traguardo, facendolo passare prima di lui per «aiutarlo a rinascere» dopo un periodo difficile.
«La più grande emozione della carriera, forse della vita», concordano i due gemelli, che qualcosa di forte l’hanno provato anche poco meno di un anno fa, l’8 settembre 2017, quando hanno realizzato il “record” di ascesa al Monviso. La vetta del Re di pietra è stato raggiunta in un’ora, 40 minuti e 47 secondi, battendo il precedente primato, realizzato da Dario Viale quasi 31 anni prima. Proprio Viale è stato il primo a congratularsi con Bernard, che ricorda quel momento: «Ero inginocchiato, in lacrime, avevo appena toccato la croce del Monviso e mi stavo rendendo conto di quello che avevo fatto. Lui era lì, ad aspettarmi e a farmi i complimenti. Poi è arrivata anche la mia fidanzata: l’ho abbracciata e sono di nuovo scoppiato a piangere. In quelle lacrime c’era tutto: gioia, felicità, liberazione, stanchezza. Il Monviso mi trasmette emozioni che nessuna gara mi può dare, è una cosa inspiegabile. Pensare che sono stato il più veloce nella storia a scalare quella montagna, che per me significa così tanto, è qualcosa di incredibile». «Ogni volta che guardo
il Monviso, mi emoziono pensando a quello che abbiamo fatto», aggiunge Martin, che quel giorno non era al “top” e non è riuscito a battere il “record”: «Ma ero lì con mio fratello ed è come se ce l’avessi fatta anche io. Nessuna amarezza, solo felicità per una giornata bellissima in cui è stata scritta una pagina della storia del nostro sport e anche del nostro territorio».
Ad aspettarli in cima al Re di pietra c’era anche il terzo fratello, Miculà, di tre anni più grande, che ha curato l’organizzazione dell’evento: «è stata davvero una gran bella giornata. Io ho provato a dare il mio contributo insieme ad altre persone affinché il tentativo di stabilire quel primato potesse avere un impatto mediatico, legandolo anche a temi come la montagna e l’ambiente».
Sportivo anche lui, è stato ciclista professionista per due anni, nelle stagioni 2006 e 2007: «La nostra è una famiglia di sportivi, qualcosa che abbiamo ereditato dai nostri genitori ed ancor prima dai nonni. Poi la montagna fa il resto. Ti insegna cosa vuol dire la sofferenza, la voglia di arrivare superando la fatica e le difficoltà. Ti dà quel qualcosa in più, perché le doti fisiche, da sole, non bastano».
La carriera agonistica di Miculà è terminata dopo una lettera in cui prendeva posizione contro il “doping” nel ciclismo, inviata a Candido Cannavò, allora direttore della “Gazzetta dello sport”: «In un mondo come quello del ciclismo, quell’episodio fece parlare, diventai un po’ scomodo e trovai molte porte chiuse, fino a quando decisi di smettere e di cambiare vita. Ma conservo un bel ricordo di quegli anni: fare lo sportivo professionista ti aiuta nella vita». Adesso svolge un altro lavoro e segue le vicende sportive dei fratelli più giovani, applaudendone le vittorie. Gioire per i successi altrui: una cosa di famiglia.
Bella, forse normale, ma non così scontata tra chi lotta spesso per lo stesso traguardo.
«Gelosia tra noi due? Mai», dicono senza indugi i gemelli.
«Una volta andavo più forte io, negli ultimi anni mio fratello è diventato un fenomeno», racconta Martin. «Ma io sono felice per le sue vittorie, noi corriamo l’uno per l’altro. Quando arrivo al traguardo, gli chiedo “L’as vagnà?”, e se lui mi risponde di sì, sono contento quanto lui. Quegli abbracci a fine gara sono le cose più belle».
«Abbiamo un rapporto davvero speciale», aggiunge Bernard. «Anche io ho sempre gioito per i suoi successi. Nel 2016 sono andato in “camper” a Roma per seguirlo alla maratona: lui non se lo aspettava e quando mi ha visto sul percorso è stata un’emozione enorme. Arrivò decimo con un gran tempo, e io ero più felice di lui!».
A 32 anni, Bernard e Martin non sono stanchi di correre.
Il prossimo obiettivo?
I mondiali di corsa in montagna, in programma il prossimo 16 settembre nel Principato di Andorra. «Ho un conto in sospeso con questa gara», spiega Bernard, che nel 2015 arrivò secondo, «dopo essere stato in testa per metà gara».
Un sogno. «Quella medaglia mi manca. So che è difficilissimo, perché gli africani sono fortissimi e il livello aumenta ogni anno. Serve un mezzo miracolo, ma i miracoli a volte accadono e io quell’obiettivo continuo a inseguirlo».
Ad Andorra ci sarà anche Martin, che come il fratello “punta” il mondiale, ma che ha già qualche idea anche per l’autunno: «Vorrei provare a qualificarmi per gli europei di corsa campestre che si svolgeranno a dicembre in Olanda, per mettermi alla prova in un’altra disciplina». Sempre di corsa, continuando a inseguire i propri sogni.