La politica (e il giornalismo) secondo il notissimo volto di Mediaset, il quale sul Tav…

In tv, alla conduzione di “Quarta Repubblica” su Ret­e 4 e di “Matrix” su Ca­nale 5; sulla carta stam­pa­ta, come firma de “Il giornale” di cui è vicedirettore; sul web con il suo sito personale e sui “social”, con la pepata “Zuppa di Porro”.
Non c’è mezzo di informazione (tranne la radio, dove per la verità sino a giugno dell’anno scorso ha condotto “105 Ma­trix”) su cui Nicola Porro non sia riuscito a ri­tagliarsi uno spazio e, a ruota, un proprio seguito. La ri­cetta è sempre la stessa: mettere da­vanti a tutto le proprie opinioni, argomentandole. Lo conferma in larga parte l’intervista concessa a “IDEA” da Porro, a capo con il fratello dell’azienda di famiglia “Tenuta Ra­sciatano”, una realtà eno-olivicola presente in Pu­glia da oltre quattro secoli («Che sarà l’attività di cui mi oc­cuperò quando tutti mi manderanno al diavolo», precisa lui).

Con “Matrix” e con “Quarta Re­pubblica” tiene i pie­di sempre ben saldi nel “talk”. Lo fa in­dossando scarpe diverse?
«“Matrix” mi piace moltissimo. È una scarpa fatta su mi­sura per me, perché in “Matrix” c’è molto cazzeggio, leggerezza, politica, ma anche temi so­ciali. Sono contento che riprenda, avendo sempre al fianco Greta Mauro. Pur­troppo, se continuiamo così, te­mo avverrà in campagna elettorale e sarà quindi meno “light” di quanto vorrei».
Fare il giornalista in un periodo in cui, anche per via dei “so­cial”, ci sono tanti megafoni e poche fonti di informazione è una responsabilità maggiore?
«Penso che il punto fondamentale sia essere seguiti da persone che si fidano di ciò che dici. Conta poco il megafono e da dove arriva; bisogna cercare di capire se c’è un consenso, che non sia però un atteggiamento effimero. Il vero tema della “Zup­pa di Porro”, per esempio, è che quella è una “community”, un gruppo di persone che mi se­guono negli anni, che si fidano di me, che vengono anche delusi, quando ci sono dei repentini cambiamenti. Questo è il nuovo giornalismo secondo me, un po’ come era quando arrivai a “Il giornale”. Una “community” in cui c’eravamo noi, reietti, che lo scrivevamo, e dei lettori che lo compravano».

Pare che il “New York times” sia riuscito a fare ricavi dal di­gi­tale in misura superiore ri­spetto al cartaceo. Pensa che la qualità sul digitale a pagamento sia la strada?
«Io non ne ho la più pallida idea. Cerco di fare soldi con il digitale, perché ho il mio sito, nicolaporro.it, sui cui punto moltissimo, ha un sacco di collaboratori ed è un enclave di liberisti di destra. Ma siamo nel mezzo di una rivoluzione, per cui chi ti spiega cosa sarà la cosa migliore per il futuro che ne sa? Temo, purtroppo, che se il pezzo che scrivo per “Il giornale” lo si inserisce nel “paywall” del sito, solo un pazzo pensi che qualcuno paghi per leggerlo».

Lei analizza il mondo economico, ma ne è anche un soggetto attivo nel settore, dato che porta avanti l’a­zienda di famiglia. Serve di più il giornalista all’imprenditore o l’imprenditore al giornalista?
«Il giornalista all’imprenditore serve a nulla. I giornalisti in assoluto servono a molto poco. Or­mai siamo disintermediati; sia­mo come gli sportelli bancari. Quand’è l’ultima volta che ci siamo recati allo sportello? Or­mai è quasi superfluo, ma la banca serve ancora. Noi siamo così: il giornalismo, le notizie servono, però non servono più i giornalisti come li abbiamo pensati in passato».

Veniamo alla politica. Il Go­ver­no sembra traballare su tutto, ma non si capisce se c’è qualcosa su cui possa davvero ca­dere. Lei che ne pensa?
«Hanno dimostrato una grandissima capacità di compromesso quelli al Governo. Era im­pen­sabile che soggetti così di­versi coesistessero. Ricordando quello che dicevano gli uni degli altri in campagna elettorale, la domanda giusta da porsi è come abbiano fat­­to a vivere sino a ora, non quan­do cadranno».

Quale priorità dovrebbe aver un Governo del nostro Paese?
«Sogno un Governo che dica “La faccio semplice”».
Non è il metodo “Salvini”?
«Salvini la dice semplice, ma non la fa semplice. È tutto una complicazione… quando devi aggiornare il sistema operativo dello smart­phone, per avere il reddito di cittadinanza, per ca­pire le istruzioni di un nuovo televisore al plasma. Non possiamo farla semplice? Vorrei una politica che fosse co­me il cellulare per gli anziani, con i soli numeri e un paio di tasti. Io adoro la tecnologia, però viviamo in un mondo troppo complicato e questo fa sì che si perda il nodo centrale delle questioni».

L’esame “costi-benefìci” per il Tav è un “farla semplice”?
«Quella è una questione complicata. Quando affidi una scelta po­litica a 78 pagine scritte in quella maniera, che vengono dopo altre analisi che dicevano la cosa opposta, non stai semplificando. Stai facendo il contrario. Ma l’Aut­o­strada del sole l’hanno fatta dopo un’analisi “co­sti-benefìci”? Certo che no. L’han­no realizzata perché si sono detti: “Le auto diventeranno il futuro, facciamola e così u­niamo l’Italia da nord a sud”. E ci hanno preso».

Di Maio ha proposto usare i fon­di del Tav per l’Asti-Cuneo. È un patto accettabile, nella direzione di un sano realismo politico, o il nord (ovest) ha diritto di pretendere entrambe le o­pe­re?
«Il punto è che una cosa non è al­ternativa all’altra, non nel senso che si deve volere tutto per forza, ma perché non puoi dirottare i soldi già stabiliti da 15 anni per il Tav Torino-Lione su qualche altro progetto. Sennò, se si possono spendere i soldi a piacimento, io propongo la Bari-Roma. È una “fa­ke true”. Li hai persi quei soldi e perderai anche quelli a venire».

Fa bene il centro-sinistra a puntare ancora su Chiamparino per la guida della Regione?
«La sinistra fa bene a recuperare qualche ex comunista pentito. Non c’è miglior aguzzino delle vecchie ideologie (che, per dire, erano contrarie al Tav) di chi le ha conosciute da vicino. A me, poi, sta molto simpatico: l’ho avuto a “Quarta Repubblica” ed è una personalità favolosa dal punta di vista scenico».