Montà: assoluto successo per il Festival dei canti da Tartufo (GUARDA LE FOTO)

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Il Festival internazionale della canzone al tartufo a Montà: un’intuizione che, forte di un lustro di storia vissuta al galoppo, ha davvero un qualcosa di geniale. Coniugare l’attitudine folk dell’Albese e del Roero con l’esponenziale attenzione al mondo del “tuber magnatum pico” era -ed è, tuttora- uno spunto in bilico tra il “meditato” e l’urgenza di agire, generando l’onda ancora prima di cavalcarla: merito di Luciano Bertello, di Ugo Giletta e di Giovanni Tesio, ma anche di quel contesto virtuoso che avvolge Montà e vi procede dritto al cuore.

E’ proprio qui che, come ogni volta da cinque anni, sabato 26 ottobre si è tenuta l’edizione annuale di questa kermesse: e noi ve la raccontiamo per una volta “dal fondo della sala”, in mezzo al pubblico, cercando di cogliere sia le sfumature da parterre de roi dell’evento, sia il suo impatto sulla gente.

Numerosa, calda, vivace, coinvolta: in un salone del RoeroExpo destinato a divenire la “pancia” del prossimo museo del tartufo bianco d’Alba, in un progetto-connubio diffuso con le realtà di Alba e Roddi, con la guida del Comune e della Fondazione Casa del Tartufo che qui risultano organizzatori del Festival e solida cabina di regia.

In primis, la serata ha fatto ciò che forse avrebbe dovuto fare sin dalle sue origini: omaggiare la figura dell’indimenticato Antonio Adriano, fondatore del Gruppo Spontaneo di Magliano Alfieri senza il quale oggi non si parlerebbe né di tradizione popolare, né di riti come i differenti canté j’euv (ma quello vero, quello di cascina in cascina) e “pianté magg”. O, forse, se ne tratterebbe ancora: ma in modo rapace, quasi radical chic, senza sapere tutto ciò che quest’uomo fece e ricercò nella sua vita.

E’ toccato ad un emozionatissimo Carlo Sacchetto, il compito di ricordarlo: insieme ai musici e ai cantori del paese alfieriano, degni continuatori del suo messaggio anche se -ma, magari, saranno in lizza il prossimo anno- mai coinvolti tra i concorrenti della manifestazione.

Tant’é: con la conduzione dello stesso Tesio (invitato a una conduzione “light” su espressa e conclamata richiesta del sindaco Andrea Cauda: missione quasi compiuta) la platea votante ha dovuto incassare la prima sorpresa della serata: la decisione di tenere fuori classifica il brano della talentuosa Simona Colonna, roerina doc, fresca di applausi da Tenco Festival di Sanremo con il medesimo brano “Curima curima”.

Un pezzo rigorosamente interpretato con il solo accompagnamento violoncello Chisciotte: tra canzone d’autore, voce da brividi positivi, incursioni quasi noise rock, che probabilmente avrebbe vinto in ogni luogo e in ogni lago. Consensi pieni, anche qui, come sul palco dell’Ariston: con il beneficio del dubbio su un possibile “cappotto” che la canzone avrebbe conquistato nelle tre classifiche di gara, così come era accaduto dodici mesi fa alla band dei Fool’n’Drunk ben invitati a riproporre il loro orecchiabilissimo brano “One two threefula” che nel 2018 mise d’accordo giuria popolare, di qualità e dei trifolau.

Ecco, forse è proprio questo che è mancato nell’edizione 2019 del Festival: un pezzo subito orecchiabile, immediato, il “tormentone” cercato per la vetta del ranking teso a definire l’inno ufficiale della Fiera internazionale del tartufo di Alba.
Rispetto alle scorse edizioni, tutto il set è stato forse animato più dallo spirito di ricerca profonda che dal pop: pur con episodi di assoluto pregio come l’espressione del teatro-canzone portato sulla scena dai Rivaival con “Trifole, trifole e trifolé” griffato da Domenico Torta, vero “padre nobile” della vivacissima band.

Sono stati loro ad aggiudicarsi il “Sapin d’Or”, il massimo titolo assegnato dalla platea: oltre che il premio della critica in cui sono ben figurati Davide Rampello (Il “Signor Paesaggio” della popolare trasmissione Mediaset di Striscia la Notizia), il maestro Peppe Vessicchio e Piero Montanaro. Gloria anche per i Red Fox di Franco Nervo e Donata Guerci, quest’ultima financo stupita di tanto exploit: a loro, il primato espresso dalla giuria dei trifolau.

In mezzo, tra i meandri del RoeroExpo, tanti moti di umanità: da un Brav’Om proteso a un continuo circolare tra le poltrone e i camerini -incontenibile, imprevedibile come sempre- e poi ospiti ispirati come Paolo Frola, bravissimo nel contenere le pause legate al conteggio dei voti quando la barra di caricamento della serata era giunta al suo 80%. Spazio anche per Pippo Bessone, già frontman dei Tre Lilu e ora sulla breccia nei panni di Padre Filip: primo vincitore del Festival, presente con una sua performance dai toni quasi intimisti. E poi ancora bambini ovunque, segno di una serata davvero popolare e apertissima anche alle famiglie. Il “tartufo di casa, il tartufo di festa”, verrebbe da dire: obiettivo centrato, allora, con tanto di qualche artista un po’ alticcio per via del degno banco di assaggio riservato ai concorrenti in gara.

Il prezioso fungo ipogeo è cosa per tutti? A livello di profumi e di partecipazione, verrebbe da rispondere con un bonario “sì”: in un contesto fatto più di gente che di trifole, ma con un lignaggio ben suggellato dalle video interviste a cura dello stesso Giletta e proiettate in serata, con protagonisti quali gli chef Davide Palluda de “All’Enoteca” di Canale, Elide Mollo de “Il Centro di Priocca”, Michelangelo Mammoliti de “La Madernassa” di Guarene, Flavio Costa di “Tenuta Carretta” di Piobesi d’Alba.

Segno “più”, infine, per una manifestazione ormai rodata e che pare giunta a un possibile giro di boa: con l’auspicio che essa possa crescere, ancora, nel segno di quel tartufo cui tutto tende.

Paolo Destefanis
Fotoservizio Paolo Destefanis e Marialuisa Tomasi