Scenari di crisi da contrastare investendo

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Lucida analisi tra economia e finanza

IDEA n.13 dal 2 aprile 2020

Uno studio del Centro di ricerca Ref di Milano stima che l’impatto negativo dell’epidemia sul Pil 2020 possa oscillare tra l’1 e il 3%

L’epidemia di coronavirus sta cambiando le condizioni sanitarie, le abitudini di vita, le relazioni sociali e le attività economiche degli italiani. A livello mondiale ci troviamo ancora in una fase di crescita esponenziale relativamente alla diffusione dell’infezione virale. In Cina, dove il virus è partito, sembra che il contagio si sia fermato, dopo aver raggiunto i 90 mila casi. In Italia l’epidemia non rallenta ancora.

In molti dei paesi contagiati le prospettive sono di una rapida diffusione. L’emergenza della crisi pandemica causata dal covid-19 sta modificando in maniera drammatica l’agenda dei Governi nazionali e delle istituzioni europee e internazionali. Era prevedibile e anche inevitabile. I meccanismi che alimentano la crisi sono principalmente l’interruzione di parte della produzione e il blocco dei consumi nei periodi di diffusione più acuta del virus. Interi settori (come viaggi aerei, trasporti, turismo e ristorazione sono fermi.

La produzione, specie in ambito manifatturiero, dipende ormai in larga misura da modelli produttivi internazionali, con componenti che vengono fabbricate in decine di paesi diversi. Un sistema assai vulnerabile di fronte al blocco delle attività conseguente a un’emergenza inaspettata. Dopo la crisi del 2008, la perdita del 20% di capacità produttiva a livello globale è diventata permanente. Il rischio è che per effetto della crisi sanitaria in atto si produca un analogo arretramento dell’economia italiana. Un altro meccanismo (il più pericoloso) destinato ad aggravare la congiuntura è quello della finanza.

Tra il 19 febbraio e il 12 marzo 2020 alla borsa di Wall Street l’indice S&P500 ha perso il 25%. A Londra la caduta dell’indice Ftse100 è stata del 28%, mentre alla Borsa di Milano l’indice Ftse Mib ha perso addirittura il 40%. L’instabilità finanziaria è destinata a crescere e non è stata fermata dalle nuove emissioni di liquidità. L’aggravarsi degli “spread” dei tassi di interesse tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi è un ulteriore elemento di grande preoccupazione.

Se l’Italia vuole evitare questo rischio, adesso che il punto di partenza del debito pubblico è al 135% del Pil, avrà bisogno di due fattori: un po’ di fortuna per allentare la morsa del virus e, in parallelo, un intervento europeo significativo e su più livelli. Fino alla scorsa settimana la Banca centrale europea si mostrava tutto sommato ottimista, ritenendo che l’impatto, per quanto rilevante, sarebbe stato limitato nel tempo e seguito da una rapida ripresa. Ora la situazione è del tutto mu tata. In uno studio pubblicato dal Centro di ricerca Ref di Milano si stima che l’impatto negativo sul Pil italiano 2020 possa oscillare in un intervallo compreso tra l’1 e il 3%. Non tutti i settori saranno colpiti in egual misura.

Gli ambiti maggiormente interessati, con possibili variazioni comprese tra il -10 e il -40%, sa ranno il settore del tessile e dell’abbigliamento, quello dei trasporti, l’accoglienza turistica e la ristorazione, oltre a quello legato ad attività ricreative e sportive. Il primo settore a essere penalizzato dall’emergenza è comunque quello turistico-alberghiero. In Veneto le prenotazioni cancellate hanno toccato picchi del 90%, mentre in Friuli e, in particolare a Trieste, siamo all’80%. La percentuale di cancellazione delle prenotazioni a Torino e provincia si attesta tra il 50 e il 60% (con punte vicine al 90%).

Federalberghi Torino stima per le imprese delle città un calo di fatturato da 1,5 milioni a 2 milioni di euro (il 30% in meno rispetto al febbraio 2019 soltanto prendendo in esame la prima settimana di emergenza). Effetti negativi, seppure di entità più contenuta, sono previsti anche per quasi tutti i comparti manifatturieri, dell’energia e delle costruzioni. Soltanto in Lombardia sono stati fermati 6 mila lavoratori metalmeccanici, soprattutto nella “zona rossa”, ovvero le aree di Bergamo, Milano, Brescia e Cremona.

In questo contesto gli scenari di crisi stimati dall’agenzia di “rating” Cerved ci ricordano che dietro l’impatto misurato in decimali o in punti di Pil vi è la contrazione degli occupati e, soprattutto, l’uscita dal mercato di numerose imprese. Questo configura una perdita di competitività e capacità produttiva che rischia di essere permanente.

Le conseguenze nel medio lungo periodo e i meccanismi con cui operare sono stati illustrati chiaramente da Mario Draghi nel suo intervento al G20. Di conseguenza, nel prossimo futuro, le imprese dovranno fronteggiare perdita di reddito e di capacità produttiva, sottodimensionamento e conseguente contrazione di forza lavorativa, con lo spettro di un sensibile aumento della disoccupazione. Una profonda recessione a livello globale appare inevitabile. Allora, come agire? È evidente che la risposta dovrà comportare una massiccia iniezione di liquidità (gli stanziamenti deliberati fino ad oggi dal Governo italiano appaiono inconsistenti).

Ciò determinerà un significativo incremento del debito, ovvero una crescita della spesa pubblica. Tale situazione diventerà una caratteristica permanente della nostra economia futura. Giocherà un ruolo molto importante il sistema bancario in qualità di diffusore capillare della maggior liquidità a favore delle imprese. L’alternativa è una permanente e significativa distruzione della capacità produttiva e, quindi, della base fiscalmente imponibile, oltre a un consistente ridimensionamento della crescita economica e a un impoverimento generalizzato della popolazione italiana. Sarà determinante descrivere l’Italia in modo corretto, soprattutto da parte di chi ha responsabilità di governo: non farlo potrà comportare un danno grave alle imprese, al turismo, al nostro “sistema Paese”. Coraggio: insieme, ce la faremo!


  SERVIRANNO MASSICCE INIEZIONI DI LIQUIDITÀ NEL SISTEMA PRODUTTIVO, 
  DA CONCORDARE CON L’EUROPA

Che cosa fa l’unione europea in questo contesto di crisi? L’Europa, dopo una prima fase di incertezza e di difficoltà, sembra ora aver trovato le strade giuste e le risposte per un più incisivo contrasto alle emergenze in atto. ma un conto è gestire l’emergenza, un conto è gestire la situazione di un futuro ancora incerto e per certi versi drammatico.

Per contrastare il rischio sempre più evidente e sempre più attuale di una gravissima recessione economica, molto più grave di quella del 2008-2009, la commissione europea ha di fatto azzerato il patto di stabilità dando agli Stati membri la massima spendibilità per le spese connesse al contrasto dell’epidemia.

È chiaro che ciò comporta, soprattutto per gli Stati con un alto grado di indebitamento come l’Italia, un aggravarsi della loro posizione debitoria che peserà in modo significativo negli anni a venire. Per riattivare un’economia allo stremo, saranno necessarie massicce iniezioni di liquidità nel sistema produttivo, concordate con l’Europa e libere da vincoli burocratici, in deroga alle regole precedenti sugli aiuti di Stato. Si parla tanto di “coronabond”: se sarà perseguita questa strada (ma già la Germania e l’olanda hanno espresso un orientamento negativo) questi strumenti non dovranno essere utilizzati come fonte di finanziamento della spesa corrente, ma come messa in comune di risorse europee per avviare un ambizioso piano di ricostruzione.

Anche le linee di finanziamento agevolato di credito al sistema produttivo con un massiccio programma di acquisti di titoli da parte della Bce (fino a 750 miliardi di euro a cui si aggiungono i 120 già messi a disposizione) dovranno essere orientate al sostegno della ripresa economica.

Dopo lo “tsunami” del coronavirus emergerà una nuova struttura dell’economia e della finanza europea, finalizzata in primo luogo alla realizzazione del “green deal” e finanziata in larga parte da un’emissione di titoli garantiti da risorse proprie, che prefigurano una finanza autonoma a livello di unione.