Credo che molti appassionati di architettura e design, alla ricerca delle origini della modernità considerino il Bauhaus di Dessau in Germania, come una meta di pellegrinaggio. È dopo il 1918 che prende piede, introducendo vere e proprie innovazioni nella cultura dell’abitare, caratterizzata dalla ricerca di forme geometriche essenziali. Grandi intellettuali come Le Corbusier e Mies Van Der Rohe ristudiano completamente gli spazi degli edifici, individuando quelli che sono requisiti ancora decisamente attuali, come la presenza di autorimesse, di bagni spaziosi, di ambienti confortevoli e di dotazioni impiantistiche. I progetti adesso non riguardano soltanto i ceti più abbienti: per la prima volta si pensa ad un’architettura e all’arredamento per le masse. Così, in un Paese, come la Germania, nasce una scuola di architettura e arti applicate destinata a cambiare tutto, con l’ambizioso intento di insegnare la progettazione per la prima volta “dall’oggetto di casa alla città”.
Quindi, se siete amanti dell’architettura moderna e del design, uno dei percorsi europei più interessanti da compiere è quello alla scoperta delle tracce lasciate dall’istituto del Bauhaus, scuola fondata nel 1919 e in particolare quelli posti nelle tre città che hanno ospitato le sue sedi (Weimar, Dessau, Berlino), anche attraverso un viaggio virtuale stando comodamente a casa “http://www.raiscuola.rai.it/articoli/il-bauhaus-la-storia-e-i-principi-teorici/6322/default.aspx”. L’architetto Walter Gropius fonda questa specie di accademia con l’intento di dare ai ragazzi i mezzi per una progettazione funzionale, economica e standardizzata, caratterizzata da insegnanti prestigiosi e dalla grande apertura mentale, tanto da spaventare i Nazisti che pensano bene di farla chiudere, dopo anni di opposizione.
Del Bauhaus, è iniziato come una vera e propria scuola con l’idea dell’opera d’arte totale, in cui arte, architettura e tecnologia si fondono in una sola unità. I suoi ideali si diffusero in tutto il mondo ed influenzano ancora oggi i progettisti. Emerge uno stile in cui le forme geometriche e l’economia del colore (linee pulite, minimaliste, forme astratte e pure), sono compresenti in un’armonia complementare. Queste parole tornano a risuonare, nel momento storico che stiamo vivendo, in cui l’architettura, prima di essere strumento per incidere sulla qualità della vita dell’uomo, è percepita, come strumento di marketing urbano e politico.
Nell’istanza didattica di Gropius, prima di formare gli architetti, ci si impegna nel formare uomini nuovi, consapevoli del loro ruolo nella società, questo richiamo è in realtà un invito alla sperimentazione del costruire, “al prendere parte a tutte le fasi del processo edilizio”, e ad esporsi coraggiosamente con le proprie idee alla “violenza della critica”; è un invito a perseverare in un mestiere bellissimo e molto complesso, che deve sempre avere come obiettivo e punto di riferimento costante l’uomo e il suo ambiente.
Solo l’armonia perfetta delle sue funzioni tecniche come delle sue proporzioni può sfociare nel bello, esempio è la ricerca condotta dall’architetto Le Corbusier. I pionieri del movimento architettonico moderno hanno metodicamente sviluppato una nuova impostazione dell’intero problema di un “comporre in funzione del vivere”, interessati a porre il proprio lavoro in relazione con la vita degli uomini. Questa idea sociale contrasta fortemente col lavoro dell’architetto egocentrico, che impone le proprie fantasie personali, creando monumenti isolati il cui significato estetico è puramente individuale. Con questa affermazione non intendo che gli architetti debbano incondizionatamente accettare le idee del cliente. Dobbiamo formarci per soddisfare le sue necessità. Se egli ci chiede di esaudire alcune eccentricità e fantasie, prive di senso, dobbiamo trovare quale necessità reale possa nascondersi dietro i suoi sogni e tentare di indurlo a un atteggiamento concreto. Un altro fattore di confusione nello sviluppo dell’architettura moderna è il venire in scena dell’eclettismo del XIX secolo, gli architetti si rifanno alle forme ed alle fantasie del passato, e le mescolano alla composizione moderna, credendo che questo renderà l’architettura moderna più popolare.
Vorrei evidenziare di un problema che tutte le scuole architettoniche hanno in comune: finché i nostri istituti educativi si articoleranno semplicemente intorno al tavolo da disegno, senza che l’esperienza concreta del cantiere e dei processi industriali e artigiani dell’edilizia, conduca ad un’accettazione dello stile corrente, dei suoi clichés. È questa la conseguenza di una formazione universitaria assolutamente troppo accademica. Perciò il giovane architetto dovrebbe cogliere tempestivamente ogni occasione di recarsi effettivamente in cantiere e di prendere parte a tutte le fasi del processo edilizio, come disciplina assolutamente essenziale per realizzare l’equilibrio tra conoscenza ed esperienza. Il buon architetto deve servire gli altri e simultaneamente svolgere una reale funzione di guida, tanto del suo cliente quanto il gruppo di lavoro che si raccoglie intorno all’edificio. Dirigere non dipende solo dall’innato talento, ma dall’esperienza. Attraverso il fare, è possibile la comprensione più profonda e il vero apprendimento. Imparo facendo “Learning by doing” didattica del filosofo John Dewey che fondò a Chicago una scuola sperimentale.
Cinzia Gotta