Il coronavirus ha fermato anche lo sport. Anche se è di questi giorni la notizia che potrebbero riprendere le discipline individuali, all’aria aperta, meglio ancora se in zone dove il distanziamento ambientale oltre che sociale è garantito.
Per capire cosa ha significato questo stop per il team Go Eleven, con cuore e radici nella Granda, IDEA ha intervistato Gianni Ramello, “team ower”.
È recente la notizia di un nuovo slittamento per la partenza del campionato del mondo. Quale il suo giudizio?
«Esprimere giudizi in questa fase di emergenza mondiale è sempre un rischio. A mio parere ci sono già troppe persone che, a volte in disaccordo tra loro, esprimono opinioni e dettano regole, forse, prese da ragioni di panico o insicurezza. Capisco gli organizzatori che si trovano in grossa difficoltà per cercare di salvare le sorti del Campionato 2020 dovendo considerare le situazioni diverse tra i vari Paesi nel mondo. Di certo al momento è un compito davvero difficile organizzare eventi visti i problemi che abbiamo noi italiani sulle quarantene di ritorno, sugli spostamenti e se tenteranno di correre a porte chiuse, ammesso che si riesca, sarà un enorme danno economico».
Come ha reagito a questa decisione Micheal Ruben Rinaldi?
«Michael ha reagito come tutti. Purtroppo anche per lui è una situazione del tutto imprevista, che si è riscontrata solo nei film prima d’ora. Come tutti gli atleti sicuramente ne avrà sofferto ancora di più non potendo svolgere attività fisica all’aperto. È, però, uno dei pochi fortunati ad abitare in campagna e quindi è riuscito ad avere un po’ di spazio. Certo, dopo il primo round aveva in mente di fare una bellissima stagione e, come noi tutti, si è trovato il sogno stoppato, in attesa della ripartenza».
Riesce ad allenarsi?
«Siamo sempre in contatto telefonico o via videochiamata e mi ha detto che riesce ad allenarsi comunque. Di certo, non si è potuto recare in palestra o sulle piste da cross, ma ha sfruttato lo spazio intorno a casa. In qualche modo ogni atleta ha trovato una soluzione in attesa delle riaperture sull’allenamento individuale. Per fortuna con la nuova normativa potrà tornare ad allenarsi con maggiore frequenza e varietà d’esercizi».
Ha senso per voi partecipare, quando sarà possibile ad una stagione in formato ridotto?
«Non saprei se ha senso ricominciare. Noi tutti vorremmo essere sulle piste, ma se questo comporta grave rischio fisico o di grande difficoltà negli spostamenti direi che forse attendere è meglio… Soprattutto dal momento che è prevista ancora la quarantena precauzionale sul ritorno dall’estero per noi italiani. Economicamente per noi team, la situazione è molto grave visto che non possiamo avere certezze che gli sponsor rispettino i contratti nell’attuale situazione di difficoltà economico/lavorativa e con il ritorno alle corse si creerebbe una situazione molto pesante in termini di spese, tutte concentrate in pochissimo tempo. Occorre non dimenticare che le spese prima venivano ripartite in tutta la stagione, ora invece, saranno concentrate in pochi mesi, se saremo fortunati da agosto ad inizio novembre».
Sono state predisposte forme di sostegno economico alle squadre? I costi correnti non si sono certo arrestati, vero?
«Purtroppo devo ribadire con forza anche in questa intervista, che non ci sono state forme di aiuto economico per i team, come in generale non se ne sono viste per le società sportive. Il calcio la fa da padrone e su questo ci sono diatribe e riunioni con il ministro Spadafora. Non è per fare polemica, ma solo per evidenziare la realtà dei fatti: dal Governo non è arrivato segnale così come nulla traspare da tutti gli organi preposti… Noi corriamo e cerchiamo di andare sul podio per la nostra Italia, ma anche per la nostra provincia e regione. Penso che su questo fronte le istituzioni abbiano fallito, lo dico con rammarico e tristezza, nella speranza che rimedino nei mesi a venire. Lo sport rappresenta almeno 40 miliardi di Pil, senza contare l’indotto e nello sport si calcolano almeno 350.000 addetti; ad oggi abbiamo i codici attività chiusi a data da destinarsi, abbiamo una cassa integrazione che terminerà a fine giugno. Ma come si può pensare che a luglio finisca tutto? Le spese ci sono, abbiamo fatto grossi investimenti che dovevano essere in parte pagati dagli sponsor che, giustamente, non riusciranno a rispettare i contratti. Per esempio, oltre agli investimenti abbiamo speso circa 29.000 euro di viaggi aerei e le compagnie non ci rimborsano, ma hanno rilasciato voucher per il 2021. Manca la liquidità necessaria: è un danno economico notevole al momento».
Se i tempi dell’emergenza fossero non brevi, come potrebbe ridisegnarsi il campionato Superbike?
«Secondo me, purtroppo, bisogna convivere con il virus, non è detto che si arresti e la via del vaccino appare lunga e incerta, non sappiamo se arriverà e tanto meno possiamo avere certezza che il virus non muti e quindi che arrivi un Covid-20 sul quale il vaccino non avrebbe effetto. È difficile fare previsioni, ma sono sicuro che se non si imparerà a convivere con questo male, lo sport sarà fermo a lungo. Dobbiamo decidere se il male maggiore è il danno fisico o quello economico. Non è una scelta facile, ma andrà presa con tutte le precauzioni del caso. Pensare ad un campionato Superbike modificato è complicato al momento, la situazione mondiale è ancora troppo in divenire. Sappiamo che la Dorna ci ha richiesto una lista di personale strettamente necessario, una decina circa per pilota, ed inoltre si è attrezzata per sottoporre tutto lo staff al tampone ad ogni round. All’interno del paddock restare distanziati e non entrare in contatto con gli altri è difficile per non dire impossibile, di certo avremmo bisogno almeno del doppio di spazio all’interno del box. Inoltre ci sarà da capire gli spazi comuni dedicati alle hospitality…».
Il vostro team ha messo in campo energie concrete contro il Covid-19. Quali sono le mosse che avete attuato?
«In questo momento stiamo cercando di non stare fermi, di fare qualcosa con l’obiettivo di sostenere la lotta al Covid-19. Abbiamo studiato, con un artigiano specializzato nel settore dell’abbigliamento, mascherine particolari logate sia con il marchio del team Go Eleven, sia personalizzabili a scelta del cliente, e cerchiamo di svolgere l’attività online in attesa di un’eventuale ripartenza. Siccome questo non è la nostra attività principale, doneremo parte del profitto ad enti locali che ne hanno necessità in questo momento così delicato. Non è facile creare un mercato, ma devo dire che ci sono già arrivate le prime richieste; non puntiamo a grandi numeri, ma anche contribuire con una cifra non elevata ci rende già contenti dell’iniziativa».
Sostenere un team moralmente ed economicamente non è impresa facile. Oltre all’aiuto degli sponsor, cosa servirà a Go Eleven per restare in sella?
«Oggi più che mai è necessario fare ripartire l’economia. Il crollo del Pil ci sarà, ci saranno decine di migliaia di lavoratori senza occupazione, ci saranno situazioni insostenibili dove, forse, viste le restrizioni, sarà meglio chiudere. Non so il futuro ma penso a un calo di Pil del 10-12% che equivale a circa 200 miliardi. Anche lo sport ne rimarrà coinvolto e in modo pesante, ma il problema sarà nei prossimi due/tre mesi credo, molto più che in questo momento. È necessario che il Governo cambi marcia, non servono dei decreti ogni 15 -20 giorni, sembrando gocce in un mare di acqua. Non serve assistenzialismo sociale, in questo modo non si genera una ripartenza economica. Serve un’iniezione di liquidità di almeno 450 miliardi complessivi a fondo perduto, stampando titoli a lunga scadenza, la Bce ha movimentato circa 1000 miliardi da destinare al sostegno degli acquisti di questi titoli e con i soldi incassati può così aiutare le imprese che non hanno prospettive, sia quelle chiuse per legge che tutte quelle in difficoltà. Se Go Eleven chiude, lo Stato perde soldi, dovrà pagare dipendenti in cassa integrazione, perderà tutte le tasse e l’Iva che paghiamo, perderà tutto il fatturato che si crea attorno, non posso credere che non lo capiscano… Eppure oggi ci stanno facendo sottoscrivere debiti che bisognerà andare a restituire. Tutti i team, così come molte altre attività in queste condizioni non hanno futuro. Bisogna credere negli imprenditori italiani; i soldi che verranno dati, saranno rimessi in circolo nell’attività. Lo Stato è come il padre con i figli, in questa situazione deve aiutarci, le tasse le pretende giustamente, ora è il momento di ricambiare. Go Eleven, comunque, nonostante le grandi difficoltà dovute al momento, sta già cercando di trovare tutte le soluzioni e gli adeguamenti possibili per essere pronta in caso di ripartenza. Se il WorldSbk riparte, metteremo Rinaldi in condizioni di giocarsela fino alla fine, anche se magari saremo costretti a girare il mondo in auto, visti i problemi del trasporto aereo!».