Lo chef Carlo Cracco, in una Galleria Vittorio Emanuele quasi deserta ha messo il sigillo conclusivo al progetto sul fresco avviato dal Mercato agroalimen­tare Mi­lano e “Le soste”, l’associazione fondata nel 1982 da Gual­tiero Marchesi che rappresenta l’eccellenza della ristorazione italiana.
Dieci dirette Instagram nelle scorse settimane hanno tenuto compagnia agli spettatori portando online chef e fresco.
Ognuno degli chef intervistati ha raccontato il suo prodotto scelto sui banchi del fresco dei mercati di Milano, parlando così di bontà, di proprietà nutritive e di provenienza dei prodotti.
A introdurre il progetto Cesare Ferrero, presidente “Sogemi”, che ha illustrato la realtà del Mercato agroalimentare Milano, dell’ampiezza della gamma di prodotti freschi e freschissimi, delle qualità, della tracciabilità dei prodotti e delle garanzie di sicurezza alimentare. Grande e importante il rinnovamento in atto, guidato dall’obiettivo di ampliare l’accessibilità degli spazi al passo dei grandi mercati co­munali europei.
E poi una carrellata di chef importanti della scena lombarda: Claudio Sadler, presidente di “Le soste”, che ha raccontato i suoi asparagi, avvicinandoci con eleganza e cordialità alla raffinatezza di una cucina attenta al fresco e alla stagionalità. Viviana Varese, dalla cucina del suo ristorante Viva, preparando un piatto composto di fave, seppie e piselli, ha delineato le caratteristiche principali del cambiamento che il mondo della ristorazione sta affrontando. Giancarlo Morelli del Pomiroeu, collegandosi dalla stanza dell’ospedale dove si trova per una lunga riabilitazione a seguito di un grave incidente, ha parlato di fragole con passione, allegria ed energia. La stessa carica con cui Ilario Vinciguerra ha promosso i prodotti nostrani, primo fra tutti il pomodoro, nelle sue mille varianti. Chicco Cerea, dal giardino del ristorante “Da Vittorio”, ha dato preziosi suggerimenti su come valorizzare in cucina i moscardini e ha raccontato l’impegno umanitario che il ristorante ha profuso alla comunità e agli ospedali di Bergamo. All’ombra di un glicine secolare, Stefano Arrigoni, patron dell’Osteria della Brughiera, ha scelto un prodotto tanto particolare quanto tipico come il carciofo violetto di Sant’Erasmo. Ales­sandro Negrini e Fabio Pisani de “Il Luogo di Aimo e Nadia” hanno approfondito il tema del fresco e del fondamentale rapporto di fiducia che si deve instaurare con i fornitori, preparando una ricetta a base di pollo, zenzero e asparagi. È seguito l’appuntamento con Andrea Aprea del Vun.
La conclusione è spettata a Carlo Cracco, lo chef che ha visto le sue origini nel nostro territorio, in quel di Piobesi (ma questa è un’altra storia e la sentiremo raccontare dal­la sua voce prossimamente!).
Una conclusione lo scorso giovedì 7 maggio, di fronte al suo ristorante in Galleria, con la partecipazione di Cesare Ferrero, presidente “Sogemi” e di Anna Sca­vuzzo, vicesindaco con delega alla food policy del Comune di Milano, tutti intervistati dalla scrivente.
Cracco ha esordito elogiando il fresco: «Quello che in questo momento bisogna fare è cercare di scegliere tutto ciò che è locale, fresco sostenibile e meno impattante a livello di consumo. Perciò usare frutta e ortaggi freschi tramite i mercati è un sicurezza perché sappiamo da dove arrivano. L’altra garanzia deve darla chi come me fa questo lavoro: il ristoratore o lo chef, attraverso la sicurezza di tutti i passaggi. Va bene acquistare tutto fresco, ma occorre mantenere quella qualità in modo da assicurare il cliente finale che tutto quello che lui riceve al tavolo (o a casa con il “delivery”) sia tracciabile e riconoscibile».
Cosa avete fatto per garantire tutto questo?
«Abbiamo lavorato con la Fipe e Ernst Young: è stata fatta un’applicazione che prevede un bollino di garanzia che viene applicato a un processo, primo fra tutti ala fase di delivery. Un QRcode che racconta tutti i passaggi della materia prima, dalla provenienza alla consegna a casa certificando tutti i passaggi».
Quindi il vostro è un “delivery” certificato?
«Stiamo cercando di mettere l’accento per prima cosa sulla sicurezza. Va benissimo fare il “delivery”, ma occorre farlo seguendo delle regole, soprattutto cercando di dare al cliente una certificazione tale che possa portare a ricostruire i vari passaggi. Per questo è utile l’applicazione di un “QRcode” che “racconta” i vari passaggi. “Ernst Young” e Federazione dei pubblici esercenti hanno messo in piedi questa applicazione per poter dare il massimo della sicurezza e della salubrità di quello che mangiamo».
Una ristorazione più attenta?
«La ristorazione rimarrà sempre un valore e un’esperienza unica. È chiaro che forse in questo momento è la necessità meno evidente, occorre rispettare regole e salvaguardare la salute. Dall’altra parte bisogna ricordare che il nostro lavoro è fatto di convivialità, di esperienza, di gusto, di calore, di una trasmissione di cose unica… tanto più sarà difficile farlo tanto più sarà bella l’esperienza».
Una sfida piacevole?
«Le sfide sono belle, devono essere sempre più alte, non nel senso di difficili ma nel senso che dobbiamo cercare di migliorare sempre ciò che facciamo».
Come avete pensato il vostro “delivery”? Riproponendo in versione “casa” il vostro menù?
«Il menù nella parte di “delivery” purtroppo non è mai completo co­me nell’esperienza al ristorante, perchè c’è il limite di non poter esprime al meglio quello che vorremmo. Si tratta allora di prendere le nostre ricette migliori, e a volte rifugiarci nei classici, come qualcosa di gratinato, cotto al forno, ora abbiamo fatto il pollo arrosto, classico da rosticceria, semplice ma con un valore unico, quindi anche in questo cerchiamo di dare il massimo e distinguerci».
E nei saluti, dandoci appuntamento a una chiacchierata sul suo passato in queste zone, allo chef scappa un sorriso amichevole e tenero, nascosto dalla mascherina, ma questa volta sono gli occhi ad evidenziarlo, e a sottolineare le parole di commiato: «Vi aspetto presto, però seduti al tavolo del mio ristorante!».

Nadia Toppino