Ti aspetti pillole di stregoneria e scopri invece che il virologo Giulio Tarro assomiglia più al vecchio e saggio medico di famiglia che non a un eretico da portare sul rogo della “scienza ortodossa”. Uno di quelli che magari ti consiglia un rimedio naturale, prima della soluzione chimica. Ma in giorni di pandemia, anche le parole vanno dosate con cura. Tarro ne sa qualcosa. Aveva previsto incautamente, che il virus sarebbe scomparso con l’avanzare dell’estate. «Non c’è alcuna evidenza scientifica» avevano ribattuto dall’alto, eppure alla luce dei fatti sembra che Tarro non abbia sbagliato la sua profezia.
Professore, a che punto siamo con la diffusione del covid-19?
«Se mi permette parto dall’inizio, dalla Cina. Dove il primo comunicato ufficiale sul virus è di fine dicembre e dopo due mesi e mezzo si parla di pandemia. Anche da loro i segnali erano emersi già a ottobre-novembre con una forma di polmonite atipica. Uno studioso americano di origine cinese stava studiando da tempo le conseguenze del virus, come la congiuntivite, un mese fa è stato ucciso».
Che cosa intende dire?
«Voglio solo sottolineare che in generale c’è stato un ritardo di informazioni e decisioni che abbiamo pagato a caro prezzo, in Italia e nel mondo. Noi siamo stati i primi a chiudere le frontiere con la Cina, ma fu il primo errore: nessuno aveva pensato che i voli potevano arrivare dopo gli scali da altre capitali. Ci furono due casi di cinesi contagiati a Roma, se ricordate. Poi i 55 italiani arrivati da Wuhan e chiusi in isolamento alla Cecchignola. E infine l’esplosione dell’emergenza in Lombardia con il blocco del 22 febbraio. E ad aprile si parlava di milioni di contagiati e di 15 mila vittime».
Perché questo antefatto?
«Perché l’emergenza è stata affrontata con la metà dei posti letto negli ospedali rispetto a prima. La politica, tra il 1997 e il 2015 ha puntualmente ridotto queste risorse. Per poi fare la corsa, a marzo, all’apertura di nuovi reparti. Che oggi in buona parte sono inutilizzati».
Insomma, vuole dire che gli errori sono stati evidenti e ripetuti?
«Mi chiedo il perché di certe decisioni. Ad esempio le poche autopsie effettuate, tanto da impedire che si capisse l’eventuale nesso con le tromboembolie, materia che proprio in Lombardia rappresenta un fiore all’occhiello. In Germania invece le cose sono andate diversamente, il rapporto rispetto all’Italia è stato di 1-28 casi di morte».
Ora però la situazione generale è decisamente migliorata.
«C’è stata una curva gaussiana. Dopo un inizio in crescita, abbiamo assistito a un netto calo. Però insisto, troppe cose non sono andare secondo logica. A parità di tamponi, per esempio, in Lombardia ci sono stati il doppio dei positivi rispetto al Veneto. A marzo nel mondo avevamo 1 milione e duecentomila casi di coronaviris. E intanto si vietava ai medici di base di vedere i pazienti e si faceva subito confusione sull’utilizzo della mascherina».
Sono arrivate notizie contrastanti sulle possibili cure: non servono, anzi hanno effetti indesiderati. Dove sta la verità?
«Per l’idrossiclorichina sono usciti dati inizialmente incoraggianti e poi negativi. Per la plasmaferesi invece addirittura una buona notizia dalle Mauritius, poi messa in dubbio. Ne avevo parlato già a gennaio, ma tanti tuttologi in tv ci hanno spiegato che certe cure o erano costose o erano dannose…».
E allora?
«Mi chiedo chi siano i consiglieri dei politici, quelli che hanno ispirato i bollettini di guerra all’ora di cena nei giorni più intensi. Credo che siano stati indecenti, lo dico con la mia esperienza di 60 anni di studio e attività».
Se però leggiamo il suo curriculum su wikipedia, è tutto messo in discussione. Lo ha visto?
«Me lo hanno modificato… eppure negli Usa ho ricevuto riconoscimenti prestigiosi. Ma forse qualcuno è geloso».
Sarà perché ha detto, per esempio, che le mascherine non servono?
«All’inizio non se ne trovavano e quindi non erano consigliate, ora che le produciamo in grandi quantità sono diventate obbligatorie. Devono venderle, tutto qui».
Sarà anche perché ha espresso dubbi sul vaccino?
«Ma il vaccino è preventivo, non è logico pensare al vaccino in piena pandemia. Quello per l’aids doveva essere pronto negli anni ’80, poi nel ’97. Se ne parla ancora oggi…».
Che autunno dobbiamo aspettarci? Ci sarà la seconda ondata e i bambini a scuola avranno il plexiglass?
«Sarebbe assurdo, non credo proprio. Mi auguro di no. Non accadrà nulla di catastrofico, ma non so cosa diranno certi virologi a certi politici…».