Il futuro dell’alta Langa è nel suo passato

Recupero architettonico con la banca del fare Il castello di Monesiglio e i ciabòt sono gli ambiti di intervento individuati con il progetto promosso dal Parco culturale

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Certi nomi evocano nella testa di chi li legge un’immagine tanto nitida da far capire che sono azzeccati ancor prima di sapere nel dettaglio a cosa si riferiscano. “Banca del fare” è uno di questi. Di bello non ha soltanto il nome, dato che riguarda il progetto di recupero del patrimonio costruito, attivato nel 2015 dal Parco culturale Alta Lan­ga, associazione onlus che ha sede a Monesiglio. A spiegare i dettagli dell’iniziativa a IDEA è Laura Sot­to­via, direttore esecutivo del Parco culturale sopracitato. Dopo una vita lavorativa passata nel cam­po della comunicazione pubblicitaria per aziende di primaria importanza, la torinese è entrata in contatto con la parte più selvaggia dell’alta Langa e, senza alcuna premeditazione, se ne è appassionata.
«Quando sono venuta in Valle Bormida non conoscevo nulla», spiega Laura Sottovia, «non mi era mai nemmeno particolarmente piaciuta la campagna, a dire il vero. Però mi sono ritrovata in un luogo che mi ha affascinato, anche perché c’e­rano tante cose da fare e mol­to da rimettere in piedi. Così quando il mio percorso lavorativo me lo ha consentito, mi so­no trasferita a vivere in un boschetto di Gorzegno, sul versante sinistro della Bormida. Non sapevo niente di questa zona, ho imparato tutto venendo a vivere qui. Soprattutto, non avevo e­spe­rienza di aree marginali e mi sono resa conto di cosa significasse. Ma ho anche scoperto che esisteva una vivace associazione, il Parco culturale Alta Langa e ho pensato di contribuirvi, portando avanti l’idea che lo sviluppo economico di questa area potesse passare attraverso il recupero del patrimonio costruito. Sono territori che hanno una bellezza che in tanti ancora non vedono, perché la considerano un’area marginale con poche prospettive. Invece, i boschi di queste zone, per e­sempio, po­trebbero essere il fa­ro di attrazione per il turismo e­scur­sionistico che sta crescendo. E poi ci sono i castelli, c’è l’arte…».
«Occorre mettere mano per recuperare l’esistente», prosegue il direttore esecutivo del Parco culturale, «il che pone di fronte a due problemi. Il primo è che se si vuole recuperare, bisogna saperlo fare. Per questo abbiamo messo in piedi una scuola di formazione abbastanza unica nel suo genere in Italia, con artigiani del luogo e studenti che salgono sugli stessi tetti e sulle stesse impalcature. Aspiranti architetti o ingegneri, abituati a usare come modulo costruttivo il mattone, si trovano al cospetto della “creatività rinascimentale” di questi anziani, che costruiscono in base alle pietre che hanno a disposizione. L’altra questione, invece, riguarda la tipologia di costruzioni su cui intervenire. Abbia­mo individuato due comparti: l’unità minima e quella massima del territorio, ovvero i ciabòt e il castello».
Nello specifico ci sono due assi d’azione oltre alla “scuola cantiere” presso Cascina Cro­cetta (spazio concesso in comodato d’uso dal Comune di Castelletto Uzzo­ne e ristrutturato dall’associazione stessa), in cui gli artigiani, che ancora sanno costruire con la pietra, il legno e le malte antiche, lavorano a fianco degli studenti sul bene da recuperare, insegnando loro come si fa, nella pratica “sul campo”. Il primo asse riguarda il recupero dei ciabòt, le casette rurali tipiche del paesaggio di alta Langa, un tempo funzionali al lavoro agricolo e ora in stato di abbandono, con l’obiettivo di farne “stanze” di un nuovo albergo di cammino.
«È la tipologia stessa del turismo di questi luoghi che ci ha indotto a seguire questa strada», aggiunge Laura Sottovia. «In zona ci sono pochissime strutture di accoglienza e i turisti dell’aria aperta vengono qui a camminare, ma in mancanza di strutture in cui pernottare, non si trattengono».
L’altro ambito in cui si opera riguarda il recupero e la valorizzazione del castello di Mone­siglio, un colosso con 1000 anni di storia, il più importante dell’alta Langa cuneese, con l’obiettivo di farne un “castello di comunità”, funzionale alle esigenze e alle prospettive di sviluppo e valorizzazione del paese.
All’interno del maniero sono stati attivati workshop di formazione pratica per la rigenerazione del bene, frequentati da studenti di ingegneria, di architettura, di restauro, di progettazione del paesaggio e dei giardini, tenuti da illustri docenti di vari Atenei.
L’intento di fondo della Banca del fare (di cui propria questa settimana si è
occupata anche la trasmissione di Rai2 “L’Italia che fa”, visibile on demand sul sito www.raiplay.it) è quello di promuovere un modello di welfare culturale con un impatto socioeconomico di rilievo, che permetta di effettuare un recupero non solo di valori materiali, ma anche della fiducia nella possibilità di sviluppo di un territorio che ha nel lascito ancora poco valorizzato nel suo passato la chiave per costruire il proprio futuro.