L’uscita, prevista per aprile, è stata rimandata a settembre, causa Covid. “La maledizione del Niger” (ed. Araba Fenice), questo il titolo, è un giallo con protagonista un commissario parigino che indaga nell’ambasciata francese in Niger. «Le mie storie, in effetti, si svolgono sempre in luoghi lontani», spiega l’autore. «Alcuni li ho visitati, altri no, ma mi sono documentato, come fece Salgari che scrisse quel che scrisse senza mai viaggiare. Oggi grazie a Internet le ricerche possono essere più approfondite e, soprattutto, ben più comode».
Parte dalla scrittura, ma non potrà che spaziare anche su altri temi la chiacchierata con Marco Borgogno, borgarino dagli svariati interessi e non meno talenti, coltivati nell’arco di 77 anni decisamente densi.
Da dove viene la sua passione per la scrittura?
«Mi sono dedicato parecchio al giornalismo, poi ho pubblicato il volumetto umoristico “Sarò breve e circonciso” e un primo romanzo “Rogo”, che ha anche vinto il premio dell’Accademia degli artisti di Napoli. Quel testo, scritto in un momento in cui avevo bisogno di distrarmi da gravi problemi famigliari, è molto diverso dai miei successivi, che sono più sentimentali; li definirei dei “gialli rosa”, in cui mi immedesimo nella figura di chi conduce le indagini. Sono intrecci improntati al “thriller” che creo mano a mano, senza partire da canovacci già definiti. Durante la quarantena ho scritto un altro romanzo, che prende spunto proprio dalla pandemia e parla di montagna. Ma è ancora in fase di valutazione da parte dell’editore».
Accanto a questa attività da scrittore c’è anche quella da amministratore, che ha ripreso.
«Sì, la mia vita è costellata di incarichi, forse troppi. Ora che ho 77 anni, forse qualcuno considererà l’idea di tornare a impegnarmi nell’amministrazione una pulsione senile… Ma la realtà è che il comune di Argentera, che ha 70 abitanti potenziali e al massimo una trentina di effettivi, si è ritrovato un debito da 1 milione di euro. Finché questo non verrà appianato il Comune è come un centometrista che corre con una palla al piede. Se non è una sfida questa! Poi c’è il problema della Valle Stura, con i suoi Comuni che hanno sempre mantenuto un atteggiamento campanilistico, guardando al proprio orticello; così diventa difficile realizzare un progetto comune e Argentera, anche se aveva degli impianti di risalita e una prospettiva turistica, è rimasta al palo».
In questo momento la montagna pare il luogo perfetto per mantenere il necessario distanziamento senza sacrificare la piacevolezza della vacanza. Potrebbe essere un’occasione di rilancio?
«La montagna ha preso piede in un modo esasperato in questo periodo: domenica scorsa c’era una coda chilometrica in Valle Stura. Ma il problema è che si tratta di un turismo locale e concentrato solo nel fine settimana. È un turismo che potremmo definire “povero”, che non ha grandi ricadute sul territorio, mancano i turisti che vengono dal centro e nord Europa».
Come avrebbe affrontato da Sindaco la sfida del Covid?
«Sinceramente credo che avrei proceduto a tentoni, come tutti. Nessuno era preparato. Ma ritengo che questa esperienza abbia dimostrato che la mancanza di un direttore unico a livello nazionale in ambito sanitario crea grandi contraddizioni, incomprensioni tra Regioni e Stato e, di conseguenza, disagi e rischi per i cittadini. Sono Presidente nazionale dei trapiantati di fegato e mi sto battendo da anni perché la sanità sia pubblica e gestita a livello nazionale. Nel settore dei trapianti, per esempio, in virtù della regionalizzazione abbiamo in Italia quasi cento centri quando anche con molti meno avremmo maggiori risultati, meno dispersione di risorse e più professionalità. Dopo lo stop dovuto alla pandemia, è necessario recuperare il tempo perduto; con le associazioni di trapiantati di reni e cuore abbiamo un coordinamento nazionale e stiamo cercando di spingere perché gli interventi riprendano subito e a pieno ritmo».
Chiudiamo con “la” domanda. Come si arriva così a 77 anni, 19 dopo il trapianto di fegato?
«Intanto si riesce se ci sono donatori di organi, quindi colgo l’occasione per ribadire l’importanza di fare un gesto così importante a favore del prossimo. Detto ciò mia madre è morta a 102 anni, mi avrà trasmesso qualche buon gene… (ride, ndr). In effetti non me lo so spiegare, so solo che continuo a fare i miei giri in moto, a sciare, ad andare in montagna. È un po’ una sfida con me stesso. Un trapiantato vive nella provvisorietà, quindi cerca di sfruttare al massimo il tempo che gli viene concesso. Ma anche prima del trapianto la mia vita è sempre stata piena: ho iniziato a lavorare giovanissimo, ho fatto di tutto nel mondo dell’impresa, della montagna (è tra i fondatori del Parco delle Alpi Marittime, ndr) e i miei incarichi sono stati innumerevoli. Probabilmente è vanità, presunzione, sicuramente ambizione ma anche volontà di non arrendersi, di sfidare sempre il destino».