Il Castello di Manta ombre e mistero di grande bellezza

Reso unico dagli splendidi affreschi tardogotici, è una fortezza trasformata in palazzo signorile

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Il famoso Castello della Manta sorge in una posizione strategica tra le colline di Saluzzo e Cuneo. Il complesso non ha una sua geometria ed è il risultato di sempre nuove trasformazioni che si sono susseguite nel corso di epoche diverse. Esso comprende: una torre, alcuni resti di torri scomparse sugli alti muraglioni, il grande giardino, le grandi sale affrescate.
Il castello è “da ammirare con calma”, secondo il motto dei conti della Manta, come si legge sul camino al lato dell’ingresso: leit leit, adagio adagio.
Un primo nucleo fortificato, situato sulla sommità del colle, in vista del gruppo del Monviso, esisteva già nel XIII secolo. Il castello inizia ad assumere l’aspetto attuale ad opera dei Saluzzo della Manta all’inizio del Quattrocento. L’immagine attuale è quindi la tipica risultante della graduale metamorfosi di un castello medievale in un complesso di costruzioni di epoche e aspetti differenti, con la perdita progressiva di quasi tutti i caratteri di opera fortificata per acquisire l’aspetto di signorile dimora. Il complesso castellano è frutto di successive aggregazioni a partire dall’originario fortilizio del XIII secolo e si è arricchito nel ‘500.
Il Castello della Manta custodisce nel salone baronale una delle più stupefacenti testimonianze della pittura del gotico internazionale, il ciclo di affreschi nella Sala Baronale.
Valerano, signore di Manta dal 1416, operò organicamente per costruire il suo castello in struttura residenziale aggiornata sui modelli funzionali e decorativi dell’epoca tardogotica. La serie dei nove eroi e delle nove eroine dell’antichità e la scena della Fontana della Giovinezza furono affrescate poco dopo il 1420 da un ignoto pittore detto “Maestro della Manta”.
Al secondo piano si trova uno degli ambienti dove si cela uno dei più grandi misteri del castello. Si nasconde infatti nel soffitto di una delle sale del secondo piano un mappamondo, circondato da una grande “O” e seguito dalla scritta: “Spiritus Alit” cioè “lo spirito alita dentro”, esso ritrae oltre all’Europa, tutta la costa dell’America e quella dell’Antar-tide nonostante si tratti con molta probabilità di un affresco risalente al periodo tra il 1418 e il 1430 come tutti gli altri affreschi del castello. La spiegazione sta forse nelle pergamene che Tommaso III consultò per scrivere il suo poema cavalleresco. Il castello con le sue decorazioni e la sua storia, infatti, è immerso nell’immaginario cortese del tempo popolato di eroi greci e romani, mostri, cavalieri della tavola rotonda, draghi e principesse da salvare. Il messaggio sociale e politico, affidato al Ciclo dei Prodi e delle Eroine che si presentavano a chi entrava nel salone per conferire con Valerano, era chiaramente autocelebrativo. I personaggi, esempi di virtù e eroismo, ripresi dalla tradizione classica, presentano abiti preziosi strettamente legati alla moda delle corti internazionali dell’inizio del ‘400 e si riferiscono presumibilmente a protagonisti del casato dei Saluzzo della Manta. La sala delle grottesche, nell’appartamento di rappresentanza voluto da Michelantonio nel 1560, è uno degli ambienti più significativi del castello.
La volta, a padiglione con unghie è interamente decorata da dipinti e stucchi: fantasie fitomorfiche tipiche delle grottesche, rovine classiche o architetture rinascimentali, allegorie delle Virtù.
La Chiesa di S. Maria al Castello contiene due ambienti di particolare pregio, in sintonia con i due momenti più significativi della decorazione pittorica all’interno del castello. Nell’abside vi è un ciclo di affreschi di episodi della vita di Cristo, realizzato quasi contemporaneamente al ciclo del salone baronale.
La cappella funeraria di Michelantonio, a pianta quadrata centrale e sormontata da un’elegante cupola ottagonale, ha invece la medesima ricca decorazione a stucco e affreschi delle volte del Palazzo di Michelantonio ed è dovuta probabilmente alle stesse maestranze.
Attualmente di proprietà del FAI, è stato donato nel 1984 da Elisabetta De Rege Provana.