Marco Giacosa è cresciuto nelle Langhe e vive a Torino. Ha pubblicato “Disasterchef” e “L’Italia dei sindaci” per Add editore e “Il pranzo di nozze di Renzo e Lucia” per Miraggi Edizioni. Giornalista pubblicista, ha collaborato con Ideasport e La Stampa, ha scritto su Pagina99 e pubblicato su riviste cartacee e per il web. Partendo dal suo monologo “Ciao, terroni! Come va?” è stato realizzato un video, diventato virale, sul razzismo, approdato in tv grazie al programma “Propaganda live”.
Come è nato questo pezzo?
«Ho scritto questo post su Facebook sapendo di toccare un tema forte, il razzismo da parte di chi a sua volta proprio del razzismo è stato vittima e ho usato un tono volutamente provocatorio. In una settimana ricevetti migliaia di commenti e centinaia di condivisioni. Un successo inaspettato, nonostante il post avesse un problema fatale per i social: l’eccessiva lunghezza. Dopo pochi giorni fui contattato dal regista milanese Francesco Imperato che mi propose di acquistare i diritti per trasformarlo in un monologo. Il video che ne è nato ha superato i sei milioni di visualizzazioni e l’attore Andrea Pennacchi (intervistato nelle pagine precedenti, ndr) è così perfetto nel ruolo che a Propaganda Live, dopo quella prima esibizione, è diventato una presenza fissa».
Le dispiace che mentre nel suo testo si parlava di Piemonte, la versione recitata sia ambientata in Veneto?
«Assolutamente no, anzi. Ho scoperto così che il razzismo che ricordo in Piemonte verso le persone provenienti dal sud quando ero ragazzino è lo stesso che si sentiva in Lombardia o in Veneto. Cambiavan riferimenti, città e cognomi ma il senso diffuso di diffidenza per i nuovi arrivati era lo stesso. Proprio in questa testimonianza di razzismo strisciante e diffuso in tutto il nord che sta la forza del testo».
Molti non hanno compreso il testo e l’hanno accusato di razzismo…
«Sì e il problema sta ancora nella lunghezza: per capire il pezzo bisogna arrivare fino alla fine. Le prime condivisioni, fatte da ragazzi giovani per creare sulle loro pagine confronto e movimento (essendo questo un pezzo divisivo) avvertivano infatti “leggi anche se è lungo”. La metà dei commentatori che mi accusava di razzismo non aveva seguito il consiglio. Come si intuisce facilmente leggendo per intero, la voce narrante rivive i pregiudizi nei confronti dei meridionali alla luce della memoria per poi dissociarsene del tutto e ricordare ai nuovi razzisti che l’odio e la diffidenza cambiano spesso mira ed è assurdo ergersi a carnefici poco dopo essere stati vittime».
Un altro Suo testo di successo diventato poi spettacolo teatrale è “Il pranzo di nozze di Renzo e Lucia”, una coraggiosa riscrittura dei Promessi sposi in cui una pittoresca wedding planner racconta come si è riusciti, non senza fatica, a fare convolare i due innamorati. Come è nata l’idea di tornare sul romanzo manzoniano?
«Qualche anno fa decisi di rileggere questo romanzo che a scuola ci avevano insegnato a detestare. Godendosi il testo per il piacere di ascoltare una storia, l’effetto è del tutto diverso. Mi sono innamorato della scrittura ricca di Manzoni, delle descrizioni ampie e così è nata l’idea di una nuova versione, fedele alla prima nelle vicende, ma scritta con un linguaggio più leggero e moderno».
A settembre con Attraverso Festival porterà il “cooking show” che è nato (venerdì 4 a Monticello d’Alba e domenica 6 a Mombaruzzo). Ce lo racconta?
«Mentre ero in giro con l’editore e chef Fabio Mendolicchio a presentare il libro “Disasterchef” è nata l’idea di partire dal mio romanzo per immaginare il pranzo di nozze di Renzo e Lucia in un contesto inusuale. Chi arriva si siede e vengono servite sei portate, preparate solo con materie prime disponibili nel Seicento. Tra un piatto e l’altro si parla del testo manzoniano e della vita a quell’epoca mentre lo chef racconta le sue creazioni. È uno spettacolo interattivo in cui il pubblico si diverte: non capita spesso di andare a cena e parlare di Renzo e Lucia ascoltando come accompagnamento musicale dei madrigali secenteschi».
Che pensa della storia recente delle Langhe?
«È cambiato tutto negli ultimi venti anni. Ricordo che mandavo sms ad amici che prima mi rispondevano dalla vigna e a un certo punto hanno iniziato a rispondermi da Tokio o da New York. Le Langhe stavano diventando internazionali. La comunicazione parla di un territorio unico, ma in realtà ognuno pensa che il suo posto sia il più bello del mondo. Qui però questa narrazione di eccellenza è supportata da imprenditori bravissimi, così i due aspetti si autoalimentano creando un circolo virtuoso che fa bene a tutti. Insomma abbiamo scoperto di essere bravi non solo a raccontarcela ma anche a raccontare».