Eccentricità, scelte musicali innovative, una voce unica e una capacità di dominare il palco senza pari. Tutto questo era Freddie Mercury, indimenticato “frontman” dei Queen, scomparso tristemente ad apppena 45 anni, il 24 novembre 1991.
La sua morte, tanto tragica quanto discussa, segnò la fine di un’epoca musicale e dell’epopea di un gruppo che con le sue musiche imprevedibili aveva completamente rivoluzionato i “sound” tradizionali britannici e internazionali.
Gran parte del merito fu proprio di Freddie Mercury, al secolo Farrokh Bulsara, nato nel 1946 a Zanzibar, l’arcipelago africano che nel secondo Dopoguerra era ancora protettorato della corona inglese, da una famiglia di origine “parsi” e di religione “zoroastriana”.
Trasferitosi in Inghilterra nel 1964, a causa dell’esplosione della rivolta di Zanzibar, Farrokh iniziò ad avvicinarsi alle band londinesi del tempo, fino a conoscere il chitarrista Brian May e il batterista Roger Meddows-Taylor, con i quali iniziò a esibirsi, con alterne fortune.
La svolta arrivò nel 1970, quando, proprio su suggerimento di Farrokh, il gruppo iniziò a esibirsi con il nome Queen, un sostantivo al contempo evocativo e provocatorio, con evidenti allusioni al mondo dell’omosessualità, mai rinnegate dallo stesso ideatore. In parallelo, Bulsara svestì i panni dell’immigrato in cerca di fortune e iniziò a farsi chiamare Freddie Mercury.
Era nato, di fatto, il mito della band rock più famosa degli anni Ottanta, capace di raggiungere la definitiva consacrazione nel 1975, con la pubblicazione dell’album “A night at the Opera”, che conteneva, tra le altre, anche “Bohemian Rhapsody”, un capolavoro creativo che mescolava suoni rock alle tradizionali melodie dell’opera.
Quando, nove anni più tardi, i Queen raggiunsero Milano per tenere, il 15 settembre 1984, quello che sarebbe stato il loro ultimo concerto nel Belpaese, la loro fama era già planetaria. Fu un successo di pubblico e di passione, con Freddie Mercury che, dopo alcuni anni di lontananza dalla band, era tornato a incantare il pubblico con le sue movenze al limite e la sua passione sfrenata.
Fu un’esibizione che fece da preludio al “Live Aid” del 13 luglio 1985, sicuramente il momento più alto nella storia dei Queen e uno tra i più incredibili dell’intera musica internazionale. Di fronte a 72 mila persone assiepate nello stadio di Wembley e con quasi due miliardi di telespettatori collegati da tutto il mondo, Freddie Mercury tenne uno show lungo venti minuti che incantò tutti, tanto che Elton John, intervenuto a sua volta allo spettacolo, disse: «Quel giorno Freddie rubò la scena a tutti».
L’evento londinese fu l’apice della carriera della band e del suo “frontman”, ma ne segnò anche l’inizio della fine. Freddie visse anni difficili: cercò di nascondere la propria positività all’Aids, ma i media del tempo iniziarono ad indagare sulla sua vita privata costringendolo a continui spostamenti di abitazione per ritrovare la tranquillità. Il 23 novembre 1991, quando Freddie decise di condividere la malattia con il mondo, divulgando un comunicato nel quale diceva che era «giunto il momento di far conoscere la verità ai miei amici e ai miei fan e spero che si uniranno a me, ai miei dottori e a quelli di tutto il mondo nella lotta contro questa terribile malattia», era ormai troppo tardi. Nemmeno ventiquattro ore dopo Farrokh Bulsara era morto per via di una broncopolmonite aggravata dall’Aids che, oltre a lui, portò via anche la passione e la stravaganza che lo avrebbero reso immortale.
1991 – L’addio a Freddie Mercury
La tragica scomparsa dell’anima dei Queen a nemmeno 24 ore dall’annuncio della sua seriopositività