2006 – Le Olimpiadi invernali in Piemonte

Segnarono un momento di svolta per il capoluogo di Regione e regalarono momenti (sportivi e no) indimenticabili

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La rinascita di una città, la vetrina perfetta per un’intera regione. Si possono riassumere così i ventesimi Giochi olimpici invernali dell’era moderna, svoltisi a Torino dal 10 al 26 febbraio 2006.
Per quasi un mese il Piemonte fu il centro del mondo e seppe reggere l’urto della pressione generata da tale visibilità, tanto che ancora oggi molti addetti ai lavori ritengono quell’edizione come una delle meglio riuscite della storia delle Olimpiadi invernali.
Fu un successo, a partire dall’assegnazione, avvenuta nel 1999, grazie alla proposizione di una nuova idea di olimpiade: non più un evento circoscritto a una piccola cittadina di montagna, come era spesso accaduto, ma una rassegna che avesse il suo cuore in una metropoli, per poi articolarsi tra le montagne, popolate come non mai da appassionati e addetti ai lavori per assistere ai momenti “clou” di quella manifestazione.
Un successo che ebbe la copertina perfetta in una cerimonia inaugurale che seppe coniugare alla perfezione la creatività italiana e la moderazione sabauda. Toccò alla demontese Ste­fania Belmondo, vanto in ambito sportivo per il Pie­monte e la provincia di Cuneo, l’emozionante compito di accendere il braciere olimpico, chiudendo una schiera di soli tedofori di sesso femminile, come Sophia Loren e Isabel Allende. Cantò anche il maestro Luciano Pa­varotti, che regalò al pubblico di tutto il mondo un’ultima esibizione, benché già afflitto fisicamente a tal punto da scegliere di cantare in “playback”. Quasi due miliardi di persone guardarono in diretta l’evento, che divenne il più seguito dell’anno, tanto da meritarsi ben due “Emmy Award”.
Se organizzazione e cerimonia inaugurale furono esemplari, non fu da meno Torino, che vis­se una sorta di seconda giovinezza: Neve e Gliz, le due “mascotte” della manifestazione, fecero da copertina a una cit­tà che si ammodernava, i­nau­gurando la prima tratta del­la metropolitana, pedonalizzando il “salotto” di piazza San Carlo e dotandosi di strutture che facevano invidia a tutto il mondo, dal quartiere olimpico ai palazzetti per gli eventi sportivi.
Infine, fu un successo in gara. Anzi, qui i successi furono molteplici, con alcuni volti che sono entrati per sempre nel cuore degli italiani. Da Enrico Fabris, che dominò praticamente tutte le gare disputate sui pattini di velocità, ad Armin Zoeggler, l’eroe dello slittino, fino ai trionfi di Giorgio Di Centa nello sci di fondo, l’Italia seppe farsi valere nell’Olim­piade di casa, che lanciò definitivamente uno sport fino ad allora totalmente sconosciuto: il curling.
Un trionfo, insomma, coronato da una cerimonia conclusiva che mostrò al mondo le eccezionalità italiane, dalle maschere napoletane alla 500. Ma cosa ne è rimasto? Torino ha goduto di questa sorta di “luna di miele” per almeno dieci anni, poi sono iniziati i malumori: il quartiere olimpico, che doveva essere “la Coverciano degli sport invernali”, si è trasformato nel quartiere dei rifugiati, mentre alcune strutture montane hanno perso l’“appeal” che avevano subito dopo l’evento. Ecco perché, oggi più che mai, occorre tornare a sfruttare il potenziale immenso lasciato in eredità dai Giochi più belli di sempre.