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Contro la violenza, sempre

L’aggressione a Matteo Salvini e l’atroce uccisione di Willy Monteiro Duarte hanno in comune un odio sordo che non va sminuito o fomentato in base a colori politici o della pelle

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L’aggressione a Matteo Salvini offre lo spunto per una riflessione sull’odio che avvelena la società. L’azione in sé sarebbe sufficiente, ma le reazioni confermano un’aria irrespirabile: eccedono i sostenitori del politico ed esagerano i suoi avversari, chi non conosce dispiacere e quasi giustifica l’accaduto e chi, commentando, sceglie toni duri e fomenta animi già accesi. Sincerità verso il lettore impone di premettere che chi scrive non appartiene ai sostenitori di Salvini, anzi critica molte sue scelte, però lo fa civilmente come qualsiasi democrazia esige e non potrebbe mai cucire alibi morali a chi trascende e aggredisce né negare solidarietà a chi subisce. Per questo fa male leggere il “tweet” di Gabriele Muccino: “Solidarietà?!!!! A chi incita odio e violenza verso i più deboli?! No, grazie. Nessuna solidarietà. Non esageriamo adesso. Non siamo tutti buoni e uguali. Ci sono delle differenze di comportamento che hanno delle conseguenze. Anche comprensibili”. Muccino dissente da Nicola Zin­garetti, segretario del Pd, che invece la solidarietà la esplicita ricordando, semplicemente, come l’odio e la violenza non debbano contaminare la politica. Parole di grande sensibilità da condividere e sottoscrivere nell’uragano di cattiverie e aridità bipartisan. Perché, come colpisce in negativo il post di Muccino, colpisce in negativo il titolo del giornale “Libero”: “Salvini aggredito da una nera”. “Il ficcanaso” crede, non da solo, che in un momento così delicato, mentre il mondo si ribella al razzismo e alla discriminazione, ma non può sfuggire a strappi e battaglie sul delicatissimo tema, bisognerebbe soppesare le parole e calcolare i rischi di fomentare ulteriore odio. E non importa che possa non essere razzismo, ma solo voglia di sensazionalismo e gusto del titolo che scandalizzi e diventi pugno nello stomaco. Fa inorridire, in ogni caso, che una persona venga ritratta in una cronaca per il colore, va condannata l’aggressione e non importano provenienza e pelle. Chi lo fa aggiunge veleno al veleno che scorre sui social, che lacera e inquina, che non promette nulla di buono per il futuro.
Lo stesso odio ha portato alla morte di Willy e che ha armato giustizialismi feroci e giustificazioni vergognose, se è vero che all’onda forcaiola s’oppone uno scudo ignorante e atroce per gli assassini, che c’è chi racconta d’aver sentito una frase orrenda trai familiari di uno degli accusati, ovvero che in fondo era stato ucciso solo un extracomunitario. E d’altronde c’è chi ha colto l’occasione per ricordare Willy non come ragazzo generoso e lavoratore, ma per rimarcare, anche nel suo caso, il colore scuro della pelle e ricordare che per il suo pensiero gli italiani sono solo bianchi. Diciamo basta. È morto un ragazzo. In modo violento e ingiusto. Assurdo. E che radici avesse, che colore avesse non conta. Siamo tutti uguali. E invece perfino il momento del dolore della pietà e del dolore ci divide. Troppo pretendere il perdono, sarebbe auspicabile, però, almeno non si agitasse nuova violenza e non si diffondesse altro odio. Se solo pensassimo alle persone come tali, senza addentrarci in descrizioni razziali che nulla cambiano a un racconto, forse le cose cambierebbero un poco. Se la donna che ha aggredito Salvini fosse stata bianca, la condanna sarebbe stata identica; se il povero ragazzo ucciso a pugni fosse stato bianco il dolore sarebbe stato lo stesso. Banale dirlo, affermerà qualcuno. Ma proprio perché è banale proviamo a ragionare così. E un poco di cianuro sparirà dalle tastiere che sono specchio di una società senza più cuore.

BaNNER
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