Ci sono molti modi di approcciarsi alla musica: c’è chi canta, chi suona, ma anche chi crea con la melodia, attraverso il sound… Ad accomunare ognuno dei risvolti della medaglia ci sono sensibilità come quella di un ragazzo, un dj, un musicista che ha saputo fare della propria passione un vero e proprio lavoro.
Mauro Porera, saviglianese, classe 1988, vive in simbiosi con l’universo musicale, rappresentato da corpi che si muovono sulle note delle sue creazioni.
Mauro, quando è nata la sua passione per la musica?
«Ho sempre avuto una propensione verso il suono. Oserei dire fin dalla nascita, in virtù di un sostanziale “imprinting musicale” trasmessomi da mio padre, che mi ha cresciuto “a pane e Pink Floyd”. L’emozione positiva che derivava dall’ascoltare musica si è consolidata inducendomi a impararla e a considerarla un importante mezzo per conoscere ciò che mi circonda».
C’è stato un evento particolare, una scintilla che l’ha indirizzata verso questa strada?
«La vera spinta è stata vedere alcuni ragazzi più grandi che già si erano avventurati in questo mondo. L’episodio che definirei “clou” è accaduto nel corso di una serata come tante… Ero invitato alla festa dei 18 anni di un amico, ma l’addetto alla musica non si è presentato per motivi di salute. Così, in quel momento mi sono lanciato, provando a trasformare ciò che era solo un sogno nei miei pensieri in realtà: far ballare la gente. Fu un’esperienza entusiasmante: il trasmettere gioia e voglia di far ballare tramite una selezione musicale mi ha “stregato” e da allora non sono più riuscito a farne a meno».
Qual è la sensazione che prevale, nel momento in cui posa le mani sulla consolle?
«È un “mix” di emozioni abbastanza interessante, e devo confessare che nonostante siano passati quasi 14 anni dalla mia prima serata davanti ad un pubblico, prima di un’esibizione sento ancora molto stress. Il giorno della serata sono talmente tanto nervoso che solitamente mi si chiude lo stomaco e non riesco a mangiare. La cosa meravigliosa è che una volta indossate le cuffie e fatto partire il disco tutto questo passa: l’ansia accumulata fino a un istante prima, per magia, svanisce nel nulla».
Chi assiste alle sue “performance” la definisce un regista sulla scena…
«È un complimento. Nel momento in cui si inizia la serata, la figura del dj ha moltissima responsabilità: inizia una vera e propria competizione con la pista da ballo per indurre il pubblico a esplodere in certi momenti o portarlo in pausa in altri… Ovviamente senza mai essere banale e mantenendo alto l’interesse verso la musica».
Ci vuole molto allenamento per intrattenere?
«Parecchio. La parte tecnica in realtà si può acquisire abbastanza rapidamente. Mi riferisco al come mettere le mani su giradischi, ma serve esperienza per selezionare e studiare i dischi. Io mi abbandono in ore e ore di ascolto e prove casalinghe. Il saper “leggere la pista’’ e comprendere cosa suonare e in quale momento, beh… quello viene con il tempo».
Ha girato molto in Italia con la sua musica?
«Sì, soprattutto nelle zone del Nord-Ovest. Il locale che porto più nel cuore è il “To Like” che poi diventò “Just Cafe”, a Genola, dove sono stato il “resident-dj” per 5 anni. Poi con gli stessi promoter ho girovagato per tutto il Piemonte: Alessandria, Asti, arrivando a Torino dove mi sono esibito all’ex “Tabata” e allo storico “Cacao”. Sono poi arrivato a fare qualche serata in Liguria spostandomi un po’ anche verso sud».
E all’estero?
«Nel 2013 mi sono spostato a Londra e ho iniziato a crearmi un nome nella scena underground “mettendo dischi” per alcuni dei più rinomati club e organizzatori di eventi. Ho poi creato una serie di feste come “Under my feet”, un “party” che ancora oggi piace a Londra, Berlino e Milano. Sono inoltre tra gli ideatori di feste come “Deep Down Ldn” e “Afternoon Tea”».
I mercati stranieri offrono maggiori possibilità di carriera rispetto al nostro Belpaese?
«Sicuramente per il tipo di musica che voglio fare io, sì. Londra è da sempre la capitale della musica di nicchia, dove si trovano locali specializzati in ogni genere. Offre maggiori occasioni, anche se, di contro, la concorrenza è molto più dura da battere».
Qual’è stata la sua performance preferita?
«La mia prima volta all’Egg di Londra: due ore di fuoco nel “basement” del locale. Finito il set scoppiai in lacrime e ricordo la gente che mi chiedeva foto ed autografi. Per me era la prima volta, che emozione!».
C’è differenza tra un musicista e un disc jockey?
«Certo che sì. Sono professionalità diverse, ma stupende entrambe: i musicisti hanno tecnica, frutto di anni di studi legati a uno strumento, ma i dj sono capaci di tenere alto l’umore delle persone in pista anche per 5-6 ore consecutive, senza mai far perdere il “mood’’!».