La straordinaria valenza del messaggio di Dante Alighieri rinnova la sua attualità nei numerosi libri che approfondiscono la figura e le opere del “Poeta” anche in questi giorni. E che svelano elementi di una sorprendente attualità. Rivelatore è, per esempio, lo studio che parte dalla “Divina Commedia” per ridisegnare un nuovo ritratto di Dante, nel libro firmato da Aldo Cazzullo e intitolato “A riveder le stelle”.
Possiamo dire che l’Italia, intesa come concetto, sia nata con Dante?
«Ne parla fin dal primo canto. È lui a coniare il termine “Belpaese”. La Spagna nasce da un matrimonio, quello tra Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona, l’Inghilterra dallo scisma promosso da Enrico VIII, la Francia dall’impresa eroica di Giovanna d’Arco contro gli inglesi. L’Italia intesa come regno è datata 1861, ma l’idea di paese basato su bellezza e cultura possiamo riferirla a Dante, il primo “umanista” come lo definisce Fernando Pessoa».
Lei ascrive a Dante anche l’attenzione per una Chiesa “nazione” spirituale e non secolare.
«Dante ritiene che la missione dell’Italia sia conciliare la tradizione classica, di cui è simbolo Virgilio, con la cristianità… Contesta con forza la Donazione di Costantino, riconoscendo per primo al Papa il ruolo di leader spirituale. Ma il concetto di Italia ritornerà anche in Petrarca, nella lettera ai dogi di Venezia e Genova, dove li invita a desistere dalla guerra, loro che rappresentano i due occhi dell’Italia, uno rivolto a Oriente, l’altro a Occidente. Poi tutti i grandi del Romanticismo e del Risorgimento seguiranno l’idea dantesca: Leopardi scrive l’ode “sopra il monumento a Dante che si prepara a Firenze”, poi Manzoni va a “sciacquare i panni in Arno”, fino a Foscolo che scrisse “E l’ossa fremono amor di patria” sulla sepoltura dell’Alfieri in Santa Croce a Firenze».
A proposito di papi: Dante non ha nemmeno scrupoli nel censurarli, vero?
«Ne manda quattro all’Inferno: Celestino V “che fece per viltade il gran rifiuto”, i simoniaci Niccolò III, Bonifacio VIII e Clemente V, che era ancora vivo quando Dante scriveva».
Era libero di dire cose che oggi non avremmo il coraggio o la possibilità di pubblicare?
«Era un esule, era perseguitato, si sentiva indignato. Da qui il coraggio di esprimere le sue sentenze, anche dolorose: fu spietato contro l’amata Firenze».
Era un’Italia già ferita al suo interno?
«Dante era arrabbiato con i concittadini di Firenze che erano sempre divisi, ma non solo. Cita i Montecchi nemici dei Capuleti a Verona (che poi ispireranno Shakespeare per “Romeo e Giulietta”), critica altre genti come i genovesi, i lucchesi, è duro con Pistoia, Pisa, Bologna. Ha un’idea spirituale dell’Italia (e accusa per questo anche Roma, “dove Cristo tutto dì si merca”) che si scontrerà con quella successiva del Machiavelli, che non lo amava per le critiche a Firenze».
Direbbe le stesse cose oggi?
«Chissà: oggi le piazze sono tutte in rete, dove chiunque parla e nessuno ascolta».
L’Italia nella “Commedia” trova anche riferimenti geografici?
«Sì, accade quando Dante incontra Farinata degli Uberti tra gli eretici e racconta quel girone infernale citando il sepolcreto di Arles, in Provenza, e quello di Pola, sul Golfo del Quarnaro, definendo i confini del nostro Paese. A questi versi si aggrapparono gli irredentisti triestini e dalmati, alzando infatti statue in onore di Dante, come anche a Trento. Con Giosuè Carducci autore di una poesia per l’evento. Quello nell’Inferno è un viaggio che rievoca molte località italiane. Si parla del Garda, del Mincio, di Mantova e cita espressamente la “Lombardia”. Poi la Romagna, ovviamente la Toscana ma anche il sud: Benevento, la battaglia di Canne, l’Etna, Scilla e Cariddi come luoghi magici».
Viaggiò molto…
«E Cristoforo Colombo si metterà in mare sulla rotta dell’Ulisse dantesco per spingersi oltre le Colonne d’Ercole andando a scoprire l’America, così battezzata dall’altro italiano Vespucci».
Insomma, nonostante tutto Dante fonda l’Italia sulla cultura?
«Sui valori della tradizione classica e cristiana, oltre che sul concetto modernissimo che identifica nel Papa la guida spirituale, non terrena».
C’è anche un’innovativa visione della donna?
«Erano tempi in cui i teologi discutevano se anche le donne avessero o meno un’anima. Dante scrive che, grazie alla donna, la specie umana supera qualsiasi cosa nel cerchio della luna (cioè sulla terra). È grazie alla donna se lui si salva: la Madonna, Santa Lucia, di cui era devoto, e Beatrice. Oggi quell’idea ha portato finalmente le donne a entrare nella sfera pubblica, ad avere anche un ruolo importante nella cura delle persone sia nel settore medico che nelle case durante il “lockdown”. E i governi che nel mondo hanno dato risposte migliori all’epidemia sono stati proprio quelli presieduti da donne: Germania, Finlandia, Taiwan, Norvegia. Sono stati più lungimiranti e concreti. Nella “Commedia”, la personalità di Beatrice è forte, incoraggia Dante».
La lingua italiana è nata con la “Commedia”?
«Dante fa una scelta in un periodo e in un luogo, Firenze, in cui si usavano latino e volgare. L’Italiano della “Divina Commedia” diventa la nostra lingua, un po’ come l’ebraico usato nelle sacre scritture, che è diventato lingua della Terra promessa. Ma Jorge Luis Borges ha detto: “La Divina Commedia è il più bel libro scritto dagli uomini”».