«Una vera ingiustizia con gravi ricadute»

Confartigianato Cuneo contro lo stop ai centri estetici. La parola alla rappresentante di categoria

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L’ultimo Dpcm che sancisce l’inasprimento delle misure di sicurezza nel no­stro Paese, a seguito del quale l’intero Piemonte è stato classificato “area ad alto rischio”, ha creato disappunto tra le imprese artigiane della Granda per alcune incongruenze nel documento, che di fatto pongono le aziende del medesimo settore, quello dei “servizi alla persona”, su due piani di­versi: gli acconciatori restano aperti, mentre i centri estetici sono chiusi. Una decisione che getta nello sconcerto centinaia di estetisti e operatori del benessere, i quali dopo il “lockdown” dello scorso marzo, hanno investito tempo e risorse nell’adottare tutti i dispositivi e le misure idonee a rendere più sicuro e affidabile il loro lavoro, offrendo la massima garanzia alla clientela.

Confartigianato imprese Cu­neo, condividendo pienamente la disapprovazione delle imprese coinvolte, intende adoperarsi per sensibilizzare il Governo su questa incongruità, chiedendo la riformulazione delle realtà imprenditoriali per le quali è prevista la chiusura dell’attività nelle prossime settimane.
«Pur comprendendo la “ratio” del Dpcm», ha di­chiarato Luca Crosetto, presidente di Confar­tigianato im­prese Cuneo, «non possiamo con­dividerne totalmente le mo­dalità attuative. Po­sto che la salute deve essere messa al primo posto, e che tutti dobbiamo impegnarci per contenere e arginare l’espandersi dell’epidemia, rileviamo come in questi mesi le imprese abbiano fatto tanti sforzi e sacrifici per adeguarsi alle normative e lavorare in sicurezza, ma ora molte saranno costrette a sospendere l’attività. Con il rischio, in futuro, di gravi ripercussioni e la concreta possibilità che tanti artigiani e piccole e medie imprese siano poi co­stretti a chiudere per sempre i battenti. Con tante conseguenze per tutto l’indotto e il territorio. «Siamo convinti che le im­prese di estetica possano continuare a lavorare e svolgere le attività in modo sicuro e che eventuali controlli che si rendessero necessari non farebbero che valorizzarne la grande professionalità. Invece, in questo modo, si torna a colpire indistintamente il loro impegno, con prospettive gravi per tessuto economico e sociale».
A Maria Teresa Rosso, rappresentante degli estetisti di Con­fartigianato imprese Cuneo, abbiamo rivolto alcune domande, per provare ad avere un quadro ancora più preciso della situazione in cui versa il settore.

Rosso, quante sono le aziende del settore in Granda?
«In provincia di Cuneo il nostro settore conta quasi 500 imprese, che oggi svolgono in massima sicurezza il loro lavoro. Nei mesi scorsi ci hanno obbligato ad adottare nuovi dispositivi, organizzare distanziamenti e orari, il tutto per offrire alla clientela uno standard più elevato di protezione. Ci siamo adeguati e, anzi, siamo ripartiti do­po il “lockdowm” con grande entusiasmo, perché abbiamo visto questo cambiamento co­me un miglioramento del nostro sistema lavorativo a beneficio di entrambi, operatore e cliente».

Che conseguenze concrete ha la nuova chiusura?

«Ad aprile abbiamo perso la stagione primaverile, ora perdiamo quella invernale. Una nuova chiusura di più settimane per molte nostre imprese che ancora stanno cercando di arginare i danni subiti dal precedente “lockdown”, significa azzerare la speranza di un futuro. E poi non capiamo questa discriminazione: in ogni seduta l’estetista lavora con una sola cliente, mentre in un salone di acconciatura ci possono essere più operatori e più clienti contemporaneamente. Proviamo un forte senso di ingiustizia. Evidentemente, al contrario di altri settori, non ci sono interessi superiori che inducano a fare pressioni per tutelare la nostra categoria».

Cosa ha destato maggiore amarezza in lei e nei suoi colleghi?
«Se si ritiene che il servizio alla persona sia rischioso, deve valere per tutte le tipologie di servizio.Ci ha stupito che alcune ca­tegorie del tutto affini a noi rimanessero aperte. Siamo consapevoli del fatto che le disposizioni riguardano solo poche regioni, per cui far sentire la nostra voce a livello nazionale sarà difficile. Sconcerta che non si sia fatto quadrato intorno alla categoria. È stato usato il metodo di scontentare una categoria a beneficio di altre, ottenendo l’effetto di “di­videre per comandare”. In­vece avremmo dovuto essere uniti per far valere le ragioni del mondo degli operatori del servizio alla persona con una voce sola».

A questo si aggiunge la beffa dell’abusivismo…

«Infatti: chi fa questo lavoro in modo abusivo continuerà a farlo, o addirittura lo incrementerà ulteriormente e questa considerazione rende ancora più insopportabile l’ingiustizia. Chi ha dei dipendenti come farà a pagarli? Ci sarà la cassa integrazione, certo, ma le tredicesime? Chi avrà la disponibilità economica per sostenere quelle uscite e le parecchie scadenze di no­vembre e dicembre?».