Quando contattiamo Domenico Marocchino, la notizia della morte di Paolo Rossi sta circolando da poche ore. In quel momento prevale ovunque un senso di sorpresa, perché in realtà pochi sapevano della malattia del campione azzurro. C’è smarrimento, il ricordo generazionale e condiviso delle imprese di “Pablito” al Mundial di Spagna ’82 è talmente forte (e senza confini) che nasconde i dettagli legati alla personalità dell’uomo. Quella, però, emergerà subito dopo. Ed è un’immagine fortissima, raccontata dalle parole di chi ha giocato con lui e descritta dalle immagini che le tv trasmettono, fotografata negli articoli che riempiono le pagine e i cuori. Quel racconto in pochi giorni farà conoscere a tutti il risvolto umano, incredibilmente autentico, di Paolo Rossi.
Qualcosa capace di rivaleggiare con la grandezza stessa del suo essere campione di calcio.
Marocchino ce ne offre un’anteprima. «La semplicità di Paolino», è il primo ricordo che l’ex numero 7 della Juventus anni ’80 ci confida appena la notizia della scomparsa del campione del mondo inizia a diffondersi. Marocchino è stato il compagno delle giovanili bianconere che prima ha visto Rossi crescere con lui annata dopo annata, poi è stato il suo compagno nella prima squadra che lo ha accolto dopo la sventura e lo stop del calcioscommesse, antefatto della favola Mondiale. «La sua semplicità era la caratteristica che si faceva notare per prima», dice Marocchino, da sempre personaggio più estroverso, «anche quando segnava gol importanti. Non l’ho mai sentito dire, neanche per una volta, “io ho vinto”. Mai. Non avrebbe mai messo in ombra il resto della squadra per sottolineare un suo merito». Ripercorrendo la sua vita nei racconti che in questi giorni sono stati riproposti, lo abbiamo capito tutti bene. Anche chi non ha mai avuto l’occasione di incrociarne fuori dai campi il sorriso, anche chi non ha mai potuto riscontrare la sua spontanea gentilezza: tutti hanno ora certamente scoperto l’umanità di Paolo Rossi.
«Sapete a chi assomiglia Paolo? Lui è come Scirea», dice Marocchino. «Sono due personaggi molto simili. Tutti e due erano ragazzi di compagnia. Con Gay, ovvero Gaetano, eravamo sempre allegri, al contrario di quanto si possa pensare dall’esterno. Così come con Paolo. Loro erano simili perché sempre allegri, simpatici dal primo istante e tutt’altro che silenziosi…». In una parola, umili. «Paolo era sempre uguale a se stesso», ricorda ancora Marocchino, «e gli piaceva confondersi con gli altri, ti metteva a tuo agio con la sua cordiale allegria. Anche se come calciatore era veramente un fuoriclasse». Parola di chi lo ha visto allenarsi tutti i giorni. «Nella vita succede magari che si glorificano personaggi di cui non si conoscono dettagli privati meno all’altezza, oppure si tengono sotto silenzio vite esemplari di chi ha saputo prodigarsi per gli altri. Nel caso di Paolo è davvero difficile separare la sua vita da calciatore dalla sua sfera privata. In squadra gli volevamo tutti bene, lo chiamavamo Paoletto…».
Fin dall’inizio, Rossi è stato un bomber. «Nel settore giovanile della Juve», ricorda Marocchino, «segnava già tanti gol. Lui era del ’56, io facevo parte della squadra del ’57. Giocavamo spesso contro. Chi vinceva? Sempre lui. Poi abbiamo fatto parte dello stesso gruppo. Paolo sapeva affrontare ogni situazione con serenità. Me lo ricordo nel periodo dopo la squalifica, quando si allenava con noi in attesa di poter giocare. Pensava a tornare in forma, con grande naturalezza. Senza perdere il suo sorriso. E poi arrivò il momento della prima partita: Udinese-Juventus 1-5, Paolo fece subito gol e quella partita la ricordo molto bene perché segnai anch’io». Era domenica 2 maggio 1982, fine stagione. Da lì a poco Bearzot avrebbe diramato le convocazioni per Spagna ’82 con Paolo Rossi nell’elenco, nonostante lo scetticismo generale. «Ora abbiamo perso un simbolo di quel Mondiale, un giocatore che ha unito tanti tifosi, un mito e, ne sono convinto, anche un modello. Un esempio da seguire. Non sempre, nel nostro ambiente, sono cose scontate».
Calciatore che aveva saputo realizzare i suoi sogni più ambiziosi. E poi imprenditore altrettanto brillante. «In Toscana aveva costruito un suo piccolo regno», conferma Marocchino, «dove spesso ospitava amici ed ex compagni. Che cosa lo ha reso una persona così speciale? Paolo aveva alle spalle una famiglia come si deve… Ho ancora negli occhi le immagini di quando d’estate, con la Juve, andavamo in ritiro a Villar Perosa e arrivavano i suoi genitori a salutarlo. Persone eccezionali. Quando vedevi quegli sguardi capivi tutto».
«Rossi come Scirea Semplicemente miti»
Marocchino ricorda Pablito: «Non l’ho mai sentito dire “io ho vinto”. È un esempio per tutti»