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Giovanni Quaglia: «Il progetto nacque per consentire alla Granda di superare un isolamento penalizznte»

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Giovanni Quaglia (foto in basso, nell’altra pagina), oggi presidente della società Autostrada Asti-Cuneo, la storia dell’opera la conosce bene: negli anni in cui si è cominciato a parlarne è stato prima consigliere regionale del Piemonte, dal 1983 al 1988, e poi presidente della Provincia di Cuneo, dal 1988 al 2004.

Quaglia, lei ha vissuto la nascita del progetto dell’autostrada come presidente della Provincia di Cuneo…

«Sì, è vero, e preferirei anche vederne la fine, seppur in un altro ruolo (sorride, nda)».

Ai tempi, come nacque l’idea dell’autostrada?
«L’idea di superare l’isolamento storico della provincia di Cuneo e di riuscire a collegare finalmente il capoluogo di provincia e poi, ovviamente, il territorio di Langhe e Roe­ro con la grande viabilità autostradale nazionale è maturata a partire dal 1985-86. L’e­sigenza forte era di dare una risposta alle nostre imprese, bravissime, capaci di esportare, ma che hanno sempre avuto l’handicap dell’isolamento del territorio della Granda. Si tratta di un’e­sigenza maturata a livello di Comuni e Pro­vincia, ma anche da parte di Camera di Commercio, Unione Industriale, esercenti, commercianti, artigiani, mondo dei trasporti e del turismo. Facilitare l’accessibilità era fondamentale. Ai tempi si era discusso molto se fare l’autostrada diritta o la famosa “zeta rovesciata”. È poi prevalsa questa seconda soluzione, che utilizzava un tratto dell’Autostrada Torino-Savona da Massimini di Car­rù fino a Marene per poi proseguire verso Alba e Asti, perché, più che alla transitabilità, noi eravamo attenti all’accessibilità. Un conto è un’arteria che attraversa il territorio slegata dal territorio stesso, un altro è un’arteria che renda accessibile più facilmente un territorio, perché l’ottica giusta è quella anche della sostenibilità ambientale, delle infrastrutture e così via».

Come mai i lavori sono partiti dalla parte di Cuneo?
«In quel momento la pressione di cittadini e imprese, insieme con le istituzioni del territorio, è stata molto più forte nella parte cuneese, perché effettivamente il territorio lì era più isolato rispetto ad Asti, già collegata in qualche modo con la Torino-Piacenza, ad esempio».

Ora che siamo allo sblocco, se dovesse dare un giudizio sul progetto, quale sarebbe?
«Intanto bisogna dire che questa storia infinita non si sarebbe dovuta verificare, quindi ha ragione il presidente Cirio quando dice che comunque la politica deve chiedere scusa per il ritardo e non gioire perché finalmente si finisce. È una storia allucinante e certamente non all’altezza delle esigenze di tempestività che il mondo delle imprese, del turismo, produttivo ha. Sicuramente non è stata una bella storia, è la verità, senza dare colpe, ma una storia non degna di un Paese che vuole progredire».

Da attuale presidente della società Autostrada Asti-Cuneo, cosa può dirci sullo stato attuale dei lavori, dopo che nei mesi scorsi il cantiere del lotto 2.6b è stato consegnato alla ditta costruttrice?
«Abbiamo avviato all’inizio di agosto le opere propedeutiche (sminamento, esproprio, ecc.) alla realizzazione vera e propria; sono state affidate, tanto per accelerare, perché la società non è sicuramente un elemento di freno. Adesso, con l’ultima firma del decreto, potremo partire: il lotto 2.6b è già appaltato. Guardiamo a una conclusione il più rapida possibile. Devo fare un plauso all’amministratore delegato e alla società perché non si è risparmiata: specie in questi mesi, nel confronto con Anas e Ministero, è stata attenta a essere pronta a rispondere velocemente a ogni richiesta e sollecitazione».

Articolo a cura di Michela Damasco

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