Ogni storia merita di essere raccontata, ma qualcuna più delle altre. Specie se si tratta di una storia radicata nel territorio a tal punto da essersi fusa con esso. È il caso, ad esempio, degli Ospedali Santa Croce e Carle di Cuneo, oggi uniti anche lessicalmente nel nome di Azienda Sanitaria Ospedaliera, che sono ormai un tutt’uno con il capoluogo della Granda e i suoi abitanti. Rappresentano un punto di riferimento imprescindibile per un territorio che, da sempre, mette la salute e il benessere delle persone al centro. È per questo che, a fine 2017, tre stimati medici come Felice Borghi, Quintino Cartia e Luigi Fenoglio hanno deciso di passare in rassegna i ricordi vissuti “in corsia” e ripercorrere i cambiamenti che hanno reso i presidi ospedalieri cuneesi un’eccellenza in modo da poterli mettere a disposizione della collettività e, in particolare, delle nuove generazioni, che di questa storia sanno poco o, comunque, solo per sentito dire. Lo hanno fatto ideando, insieme al Collegio dei Primari, un libro che nel dicembre del 2020, ovvero 60 anni dopo l’inaugurazione del nuovo ospedale Santa Croce, è diventato realtà. In attesa di presentazioni pubbliche, al momento bloccate dall’emergenza sanitaria, abbiamo voluto accendere i riflettori su quest’opera colloquiando con uno degli ideatori, Quintino Cartia, primario emerito di chirurgia all’Ospedale Santa Croce.
Professor Cartia, cosa significa l’Ospedale Santa Croce e Carle per la città di Cuneo?
«È un punto di riferimento per migliaia di persone, le quali sanno che, in quella struttura, verranno curate nel migliore dei modi».
Come è cambiato negli anni?
«Ha subìto un’evoluzione significativa e, senza dubbio, positiva. Questo, prima di tutto, grazie ai progressi nel campo della ricerca e dell’innovazione tecnologica, che hanno migliorato diagnosi e tecniche mediche».
Quale innovazione ha inciso maggiormente?
«Prima l’introduzione della laparoscopia, poi quella dei robot, di fatto un perfezionamento della chirurgia laparoscopica. Ma ciò che ha permesso al Santa Croce e al Carle di crescere è stata una combinazione di tanti fattori».
Ce li illustri.
«Gli spazi e i reparti, nel tempo, sono stati riorganizzati e potenziati. E, poi, in generale, sono cresciute le conoscenze e la preparazione di ciascun professionista sanitario. Conoscenze che si sono aggiornate di pari passo con l’introduzione di nuovi strumenti e nuove tecniche».
Aggiornamenti, magari passati inosservati dall’“esterno”, che sono risultati rivoluzionari.
«Assolutamente. Anni fa, si curavano ancora gli esiti della poliomielite e delle infezioni diffuse all’epoca, poi definitivamente risolti con i vaccini».
Quale aspetto ha reso l’Ospedale un’eccellenza?
«La partecipazione corale di tutti i soggetti coinvolti e la presenza di pressoché tutte le specialità mediche. Ma, prima di tutto, c’è l’entusiasmo, il desiderio di far crescere e migliorare l’Ospedale e la cura dei pazienti».
A proposito di pazienti: con loro si è instaurato un rapporto speciale, vero?
«È proprio così. Si è creato un rapporto umano che va salvaguardato per il futuro».
Quali sono i pericoli?
«Bisogna evitare che l’eccessivo utilizzo del “computer” nelle attività sanitarie prenda il sopravvento sulla relazione medico-paziente. Prima di affidarsi alle “macchine” per effettuare diagnosi e interventi o applicare cure occorre accostarsi alla persona che si ha davanti, con umanità».
Quella che lei ha sempre dimostrato di avere. Ma quanti interventi chirurgici ha effettuato?
«Quando cammino per strada, tante persone mi fermano ancora ricordando le mie “operazioni”. Con il mio staff credo di averne realizzate oltre 30mila».
La pensione non le ha di certo spento l’entusiasmo…
«Ripercorrendo, per il libro, la storia dell’Ospedale, mi sono passate davanti agli occhi le immagini dei colleghi brillanti che ho avuto, degli interventi realizzati, della crescita dell’Ospedale e mi è venuto il desiderio di tornare a dare il mio contributo… (sorride, nda)».
E, tra qualche tempo, potrebbe pure esserci il nuovo ospedale…
«A prescindere da dove verrà costruito, vorrei che, annesso ad esso, ci fosse un polo per la ricerca e la formazione».
Intanto, può godersi gli apprezzamenti per il libro…
«Ho avuto dei compagni di viaggio stupendi, come Felice Borghi e Luigi Fenoglio, oltre al prezioso contributo del Collegio dei Primari Ospedalieri di Cuneo. In più si sono aggiunti gli aiuti “esterni”, come quello di Amilcare Merlo, mio coscritto (entrambi sono nati nel 1934, ndr) e grande amico dell’Ospedale di Cuneo».
Ora il Santa Croce e il Carle sono chiamati a sfidare il Covid. Come ne usciremo?
«Come dalle altre pandemie, ovvero con i vaccini e, speriamo, con qualche terapia purtroppo non ancora individuata. Nel frattempo, occorre mantenere la prudenza, senza tuttavia lasciarsi sopraffare dall’angoscia».