Si chiamava Alessandro Schiffer: era un ebreo ungherese condotto nel febbraio del ’44 al campo di Borgo San Dalmazzo e da lì ad Auschwitz, da cui non fece più ritorno. Per lui, come per i tanti volti perduti in quegli anni dolorosi, vengono lasciati i fiori non fioriti: sono i sassolini che, tradizionalmente, vengono depositati sulle tombe degli ebrei in memoria degli scomparsi. Un rito commemorativo reso celebre anche dal mondo cinematografico e che ispira il titolo dell’opera di Adriana Muncinelli, dedicata agli ebrei che vivevano nel cuneese al tempo delle leggi razziali. Come spiega la studiosa, la parola ebraica “even” (pietruzza) contiene in sé una doppia anima, che richiama sia il termine “padre” che “figlio”, a indicare un legame ininterrotto tra il presente e il passato: questo il senso di un’opera che vuole esprimere, oltre al rigore della ricerca storica, un dovere di testimonianza e ricordo. Il testo raccoglie le vite spezzate delle centinaia di persone ebree della nostra provincia, colpite dalla ferocia delle leggi fasciste e, insieme all’altro libro dell’autrice, “Oltre il nome. La storia degli ebrei stranieri deportati nel campo di Borgo San Dalmazzo”, rappresenta un affresco efficace per raccontare una storia nella storia solo apparentemente marginale: non dimentichiamo, infatti, che, per quanto riguarda i deportati, la zona del cuneese risulta essere la terza provincia per numero di arrestati. Così, attraverso una cornice ricca di dati, emergono le tante vicende personali degli uomini e delle donne che videro in faccia tutto il male del mondo, raccolti a partire dai documenti di archivio e dalle parole dei parenti sopravvissuti, che ne fanno un documento prezioso per non dimenticare che, anche nella nostra tranquilla e isolata provincia nascosta dalle montagne, molte furono le esistenze perse in quell’enorme, assordante, silenzio.