Ibrahimovic-Lukaku come una partita scapoli-ammogliati

Lo scontro titanico tra i due bomber di Milan e Inter è degenerato come in certe sfide sui campi di periferia: colpa dello stadio vuoto?

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Più che per il risultato finale, il derby di Coppa Italia tra Inter e Milan sarà ricordato per lo scontro titanico tra il nerazzurro Romelu Lukaku e il rossonero Zlatan Ibrahimovic.
Un faccia a faccia tra bomber in “trance” agonistica che non si è risolto in una vera e propria zuffa solo per una questione di dettagli, sviluppandosi però in un confronto adrenalinico con espressioni truci, sguardi infuocati, minacce e insulti.
Non uno spettacolo edificante, va detto subito. Ma l’audience televisiva ne ha tratto giovamento e il dibattito successivo non si è ancora placato.

Che cosa si siano detti i due colossi è ormai noto. Dopo uno scontro di gioco, sono scattate le scintille e le telecamere han­no amplificato lo scambio di battute.
Ha cominciato Ibra: «Chiama tua mamma, vai a fare i tuoi riti vudù, asinello». Fermato da una catena umana, Lukaku ha cercato di riavvicinarsi allo svedese: «Vuoi parlare di mia madre? Perché? Parliamo della tua che è…».
Il tutto con continui rimandi al tunnel degli spogliatoi o ad appuntamenti fuori dal campo, per sbrigare la faccenda in concreto.
Notevoli le espressioni sarcastiche dell’istrionico Ibra, avvezzo a situazioni “borderline”. Furibondo il belga dell’Inter, peraltro solitamente apprezzato per la sua sportività e correttezza. Ma in questo caso, a conclusione del duello, ha aggiunto una postilla esecrabile: «Ti sparo in testa». E i due la testa l’avevano decisamente persa.

Si è poi scoperto che il riferimento sottile di Zlatan al collega, compagno di Romelu al Manchester United, aveva un precedente: quando l’interista giocava in Inghilterra, rifiutò un rinnovo contrattuale con l’Everton, la sua ex squadra, nonostante un’offerta generosissima del club di Liverpool. Pare che lo avesse fatto al momento della firma, dopo essersi consultato con mamma Adolphine, originaria del Con­go, la quale dopo un rito vudù aveva ricevuto il consiglio di spingere il figlio verso il Chel­sea. Anche se poi andò allo United. Leggenda? Zlatan ha toccato un nervo scoperto.

La rissa verbale ha avuto un grande risalto mediatico. Si è sviluppata negli ultimi minuti del primo tempo fino al rientro negli spogliatoi. Nella ripresa, Zlatan è incappato in un fallo da cartellino giallo che, per effetto dell’ammonizione ricevuta assieme a Lukaku, lo ha portato all’espulsione.

Il giudice sportivo, quindi, ha squalificato entrambi i contendenti per un turno da scontare in Coppa Italia.
Ibra è stato messo sotto accusa nelle analisi dei giorni successivi, anche per le sue presunte frasi razziste. Che però andrebbero considerate nel contesto: le partite di calcio sono luoghi dove può capitare di dare il peggio di sé stessi. Lo sanno bene quegli inappuntabili padri di famiglia che nelle sfide “scapoli-ammogliati” talvolta perdono totalmente il controllo. E questo succede sia in campo che fuori.

Non una scusante, ma il clima di competizione esasperata porta ad esagerare. E fa parte del gioco, se non trascende.
A proposito: una riflessione che la vicenda suggerisce, al netto dei moralismi che sono sempre fuori luogo, riguarda l’attuale rito depotenziato delle partite di calcio.
Fino a ieri, prima dell’avvento del fenomeno Covid, il calcio era appunto visto e raccontato come la “valvola di sfogo” di una società compressa tra doveri, oneri e problemi.
E le curve, si diceva, erano il ricettacolo di tutte le frustrazioni, fino agli eccessi della violenza ultrà. Non divaghiamo, ma in ogni caso, il ruolo degli stadi rigonfi di tensioni (sociali e non) aveva spesso ripercussioni sul fatto tecnico, sulla partita in corso.

Uno stadio pieno di gente è sempre stato in grado di in­fluenzare il rendimento dei calciatori, non a caso aggiungendo enfasi alla differenza agonistica che ogni formazione incontrava giocando in casa invece che fuori.
In questa stagione invece, la Serie A si esibisce in stadi vuoti nei quali riecheggiano rumori, per gli osservatori, inediti, dai rimbalzi del pallone, agli improperi degli allenatori.
Su un pia­no tecnico, si è detto che l’assenza del pubblico sembra aver favorito la mancanza di concentrazione per esempio evidenziata dalle difese.
Il fatto è che, prima, se un avversario ti arrivava alle spalle, tu giocatore potevi capirlo dal brusio dei tifosi amici. E se perdevi l’attenzione, il boato della curva provvedeva a svegliarti.
Nel caso di Ibrahimovic-Lu­kaku, viene da pensare che questo clima ovattato abbia favorito l’“escalation” dello scontro: forse l’urlo di San Siro, gremito per il derby, avrebbe riportato i due giganti a più miti consigli. Chissà al ritorno del pubblico cosa succederà.