“Sergio il Tenace, il Calmo, l’Anti-eroe. Viso da ragazzo sotto i capelli bianchi. Pacato, senza ansie da potere né sbandamenti faziosi. In politica è tenacissimo e insistente, come la goccia che cade. E talvolta la goccia è più efficace del torrente in piena…”. Così, negli anni Ottanta, il giornalista Giampaolo Pansa descriveva Sergio Mattarella, dodicesimo presidente della Repubblica italiana, in carica dal 3 febbraio 2015. Difficile immaginare un ritratto più fedele, perfetto tutt’oggi a parte i lineamenti del volto, dolcemente segnati da 79 candeline.
Con calma, dopo le dimissioni del premier Giuseppe Conte, ha spiegato ai cittadini, e a certa classe politica, come il Paese non potesse permettersi elezioni anticipate. E con tenacia ha portato avanti le consultazioni, cercando stabilità e coesione, ha assegnato l’incarico a Mario Draghi e sottoscritto la sua squadra di governo. Quanto all’anti-eroe, senza ansie di potere, è per quello che il popolo, in larghissima parte, gli vuol bene, apprezzando, al di là delle posizioni, l’estraneità alla politica starnazzata di questi tempi: ritiene che dignità e credibilità non si misurino con i decibel, ma con la capacità di individuare il bene comune e le occasioni di unità, come ha sostenuto ricordando l’insegnamento del grande predecessore Sandro Pertini.
Mattarella non voleva fare politica. Era il fratello Piersanti a seguire le orme paterne, lui era felice di insegnare, ma il destino cambiò la mattina della Befana del 1980 quando ricevette una telefonata del nipote Bernardo: “Corri, hanno sparato a papà”. Piersanti, presidente della Regione Sicilia, colpito in auto mentre si recava a messa, morì fra le sue braccia su una volante che correva verso l’ospedale: tra le immagini simbolo di quel giorno maledetto, resta il maglione di Sergio, intriso di sangue.
Gli chiesero subito di raccogliere l’eredità politica del fratello, lui resistette ma la voglia di continuarne il cammino di rinnovamento, la rivoluzione di onestà che aveva portato Cosa Nostra ad assassinarlo prevalsero sulla timidezza, sulla discrezione, sul riserbo. Nei giorni scorsi, da capo dello Stato, ha dato un esempio di responsabilità, conscio che le urne avrebbero messo in ginocchio l’Italia, ha invocato un profilo alto, ha scelto un tecnico superpartes ovunque apprezzato, ha registrato con soddisfazione la nascita di un nuovo esecutivo destinato a offrire risposte immediate ai problemi quotidiani, ma nemmeno nei giorni delle riserve da sciogliere, delle consultazioni febbrili, della costruzione ha reciso il filo diretto con i cittadini. Ha scritto ai bambini di Varese che hanno partecipato a Marcia Diritto, ha risposto a due fratellini di Brescia che gli avevano inviato delle proposte per tutelare l’ambiente, ha ricambiato gli auguri degli anziani di una Rsa di Bairo, ha ringraziato un ingegnere-poeta di Taverna per i versi sulla Shoah avuti in dono e rincuorato, con una telefonata, Sofia Goggia, campionessa di sci alla quale un infortunio ha strappato il sogno di partecipare ai Mondiali di Cortina. La più tenera delle risposte, però, è forse quella inviata ai piccoli alunni d’una quarta elementare di Trani che, attraverso una mail, si erano raccomandati perché stesse attento al Covid: Mattarella ha voluto rassicurarli con una lettera inviata alla maestra, da nonno buono e da presidente vicino. Perché gesti così dimostrano come le istituzioni non siano irraggiungibili.
Un politico tenace
Voleva solo insegnare, poi sergio mattarella ha scelto di continuare il cammino del fratello assassinato dalla mafia. “Anti-eroe, pacato, senza ansie da potere” ha gestito perfettamente la crisi e continuato a dialogare con i cittadini: ai piccoli alunni preoccupati dal Covid ha scritto promettendo di stare attento