Alla scoperta di una figura poco nota

L’archeologo forense mette le proprie competenze a disposizione del team che segue le indagini per far parlare ciò che è sepolto

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Le scienze forensi comprendono diverse discipline scientifiche che sono di ausilio alle indagini. Tra queste va annoverata a pieno titolo l’archeologia forense, a cui compete l’individuazione, il recupero e l’interpretazione dei resti umani.

La figura dell’archeologo è molto cambiata nel corso del tempo. Da un lato si è specializzato sempre più nella gestione della cultura antica, anche nel suo rapporto con quello che è l’ambiente sotterraneo e il sotterramento. In Italia l’archeologia forense è arrivata pochi anni più tardi rispetto al mondo anglosassone e a quello americano, e nel tempo sono sorti anche alcuni laboratori importanti come il Labanof, Labo­ra­torio di Antropologia e Odon­tologia Forense dell’Uni­versità degli Studi di Milano, che a metà degli anni ’90 ha cominciato a interessarsi delle implicazioni e dei vantaggi derivanti dell’impiego di nozioni di scavo sistematico di natura archeologica, all’interno di una squadra di gruppo di lavoro forense. La figura dell’archeologo, quindi, è a supporto di medici legali, an­tropologi, biologi, entomologici e unità cinofile per il recupero di resti umani.

L’Università Statale di Milano ha organizzato corsi di perfezionamento e aggiornamento in an­tropologia e archeologia fo­rense, al servizio degli uffici delle forze di polizia. Per gli aspetti che riguardano i reati da occultamento di cadavere.

Una volta che si palesa la possibilità della sepoltura di un cadavere, va fatta una valutazione preventiva attraverso la quale si cerca di individuare la presenza di elementi utili alle indagini, per esempio l’indicazione agli inquirenti su come condurre lo scavo. Anche nelle indagini di natura archeologico-forense posso sorgere delle problematiche. Due sono gli scenari che possono presentarsi: lo scavo di una sepoltura clandestina rinvenuta in modo casale oppure la ricerca mirata a seguito di indagini. Nel corso della ricerca l’archeologo dovrà interfacciarsi con gli inquirenti e mettere a disposizione le competenze necessarie. Il suo è un prestarsi alle indagini, anche utilizzando tecniche particolari, come la stratigrafia. Il lavoro di ricerca cui si fa carico l’archeologo forense può essere molto lungo, in base all’area che si vuole esaminare e può capitare che le operazioni risultino difficili, complesse e frustranti, perché le informazioni sono im­precise. Tuttavia, va sottolineato che anche un risultato negativo è un risultato, dal momento che permette di escludere che ci possano essere resti.

Gli strumenti dell’archeologo forense in fase di ricerca provengono dalle tecniche archeologiche e sono sostanzialmente la valutazione archeologica e l’archeologia preventiva, utili per monitorare in modo non invaviso i siti ove si ritiene possano esserci resti umani.

La morfologia del territorio, il tempo trascorso dall’occultamento, e le dimensioni dei resti sono elementi che incidono in maniera significativa sull’attività di ricerca che, come prima cosa, deve avvalersi di tecniche che non siano invasive, per non danneggiare i resti o inquinare l’ambiente».