Un’eco nazionale per il bel saggio di Patrizia Deabate

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Tra le novità più interessanti salite alla ribalta del Premio Acqui Sto­ria negli ultimi anni vi è il saggio dell’albese Patrizia Dea­bate, “Il misterioso caso del “Benjamin Button” da Torino a Hollywood”, recentemente edito a Torino dal Centro Studi Piemontesi. Ne hanno scritto i maggiori quotidiani italiani, l’Ansa ne ha dato notizia a firma di Marzia Apice, ne ha parlato Silvia Bencivelli a Rai Radio 3. Già “battezzato” ancor prima della pubblicazione da Aldo Cazzullo sul settimanale “IoDonna” del “Corriere della Sera”, il volume è stato poi recensito da Gianni Oliva su “La Stampa”. La rivista “Famiglia Cristiana” non ha fatto mancare un servizio di due pagine. Il giorno di Pasqua, Aldo Alessandro Mola vi ha dedicato l’editoriale del “Giornale del Piemonte e della Liguria”. Il titolo del saggio, di respiro internazionale, allude al famoso racconto dello scrittore statunitense Francis Scott Fitzgerald, da cui l’omonima trasposizione cinematografica “Il curioso caso di Benjamin Button” (2008), interpretata da Brad Pitt e Cate Blanchett, vincitrice di tre premi Oscar.
L’autrice ha indagato sulle somiglianze del racconto americano del 1922 con il romanzo per ragazzi “Storia di Pipino nato vecchio e morto bambino”, pubblicato a Torino nel 1911 dal poeta crepuscolare Giulio Gianelli (1879-1914). Nell’ambito di questa ricerca, è emersa una tesi ancora più sorprendente, e cioè che Fitzgerald abbia inteso inserire nei propri romanzi un ricorrente personaggio “alter ego” di un altro poeta crepuscolare torinese: Nino Oxilia (1889-1917). Il quale fu anche regista del muto ai tempi di Torino capitale mondiale del cinema. Ed ecco il commento di Roberto Escobar su “Il Sole 24Ore”: «Dipanando fili biografici e artistici intricati e nascosti, il libro insegue Fitzgerald nel suo viaggio in Italia del 1921, lo ‘racconta’ in un affaire vaticano oscuro e appassionante». Il critico cinematografico non ama la trasposizione hollywoodiana: scritto con passione e intelligenza, nutrito d’una mole sorprendente di documenti, il lavoro di Deabate parte accennando al film che nel 2008 David Fincher trasse con molta li­bertà e con poca sensibilità dal racconto di Fitzgerald, e poi lo abbandona alla propria irrilevanza pomposa, che i tre Oscar non riscattano. All’autrice (e a noi) interessano invece i molti sentieri lungo i quali sembrano rinascere una letteratura, un cinema, un mondo lontani. E conclude ironicamente, alludendo alla poetica di Oxilia in cui starebbe la chiave di lettura utilizzata da Deabate per decrittare i “messaggi in codice” di Fitzgerald: per Pipino, si tratta di una promessa, per Benjamin, di un’illusione amara. E qui davvero agli storici conviene lasciare la parola ai poeti. Quanto a Fincher, gli conviene il silenzio.
Se a Pasqua è stata definita «labirintica e ammaliante» da Aldo A. Mola, l’opera di Deabate era stata giustamente ricordata da Marcello Veneziani sul quotidiano “La Verità” nell’editoriale dedicato alla Giornata Mondiale della Poesia (21 marzo). Maurizio Crosetti su “Il Venerdì di Repubblica”: «sembra solo un testo accademico, è anche un giallo letterario. Partendo dal curioso incrocio tra Scott Fitzgerald e Gianelli, Deabate ha scoperto numerose tracce del contemporaneo Oxilia nell’opera e nella vita del grande autore statunitense. Non meno lapidaria la recensione di Fabrizio Ottaviani su “Il Giornale”: «attraverso un processo indiziario appassionante cadono nella rete tesa dalla Deabate una quantità di notizie sorprendenti e che mutano la nostra concezione dei rapporti fra Italia e Stati Uniti nei primi decenni del XX secolo. Ed è proprio in queste parole che ci sembra di poter cogliere il senso più profondo del libro: nell’offrire una prospettiva completamente nuova per pensare alla storia del nostro Paese. I riferimenti di Fitzgerald a Oxilia e Gianelli si inquadrano, più in generale, nei rimandi ai pilastri della cultura italiana dell’epoca: da D’Annunzio a Marinetti, dalla Chiesa al divismo internazionale che, prima dell’astro di Holly­wood, aveva brillato di luce italiana, come ci ricorda il Museo Nazionale del Cinema di Torino. Il saggio della storica albese, facendoci guardare all’Italia dal punto di vista americano, ci fa riscoprire la nostra identità, al di sopra delle barriere di pensiero innalzate dalle divisioni che hanno insanguinato il Novecento». Non a caso Gianni Oliva, neopresidente della Giuria del Premio Acqui Storia per la sezione storico-scientifica, scrive: «pagine intense e inattese come biografia intellettuale parallela tra due autori che hanno condiviso il mondo dei “Roaring Twentìes”, Oxilia anticipandolo, Fitzgerald cantandolo: il risultato è la rivisitazione di un grande autore del Nove­cento, ma anche la riscoperta di un poeta-regista torinese, restituito ad “una nuova giovinezza” dopo la “damnatio memoriae” dell’Italia repubblicana (che l’ha indebitamente rimosso come autore dell’inno trionfale fascista). In conclusione, nella ricerca della “007 letteraria” Patrizia Deabate, come l’ha definita Lucia Esposito su “Libero Quotidiano”, si può riconoscere un’ardita originalità tipicamente albese: forse ispirata a quel “pensare diverso dagli altri” di Michele Ferrero che ha reso Alba celebre in tutto il mondo.

Articolo a cura di Carlo Sburlati