«Il modellista? Un’arte che oggi si affida al 3D»

Viaggio con Miroglio Fashion nell’ evoluzione dei mestieri della moda

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«Il modellista non è una professione che si sceglie, ma che ti sceglie». È cominciato così il viaggio alla scoperta di antiche e quanto mai attuali mansioni nel settore della moda che ci condurrà per sei “puntate” nei nuovi mestieri del fashion. Un’idea che la nostra rivista da tempo desidera raccontare e che da progetto editoriale è diventato realtà grazie alla disponibilità della Miroglio Fashion, azienda storica albese, nata nel tessile ed oggi attiva nella creazione e distribuzione di moda femminile, con la presenza di oltre 600 negozi di proprietà in Italia e 4 siti e-commerce.
E così in una soleggiata mattina di aprile, abbiamo avuto l’onore ed il piacere di incontrare Da­niele Manas­­sero, storico mo­dellista con il quale ci siamo addentrati nella sua pas­sione, diventata mestiere, in un percorso tra impegno ed evoluzione.
«Sono nato nelle colline intorno ad Alba e capire come è maturata in me la voglia di fare questo lavoro è difficile… La mia famiglia piuttosto nu­merosa, di origini contadine, non ha mai respirato “l’allure” della moda, ma personalmente mi sentivo incuriosito da questo mondo, al punto da decidere di iscrivermi al corso tecnico dell’abbigliamento al Cfp di San Cassiano, allora conosciuto come Inapli. All’e­poca nel corso del primo anno di confezione, imparavamo a cucire con la macchina industriale e poi nei successivi due anni apprendevamo le tecniche dell’abbigliamento, imparando un po’ di più il modello… Ter­minato il percorso di studi sono entrato a far parte della Miroglio, cominciando sin da subito a fare il modellista, professione che svolgo tuttora. La formazione formale non è stata per me un punto di arrivo, ma un punto di partenza che mi è servito per aprirmi e appassionarmi ad innovazioni che mi hanno consentito di fare il mio lavoro in modo più veloce ed efficace, per dare alle clienti migliore vestibilità e capi più aggiornati».
Quali nel corso della sua carriera gli “step” più impegnativi che ha dovuto affrontare?
«Occorre non dimenticare che nel 1982 tutto era completamente diverso, manuale: carta, forbici, matita, spilli… la base di questo lavoro a cui si è sommata la tecnologia ed in particolare, intorno agli anni ‘90, l’uso del Cad 2D. Si è rivelata una grossa rivoluzione e alla Miroglio, che ha nel suo Dna una buona dose di avanguardia, non è sfuggita l’occasione per continuare a guardare al domani con lungimiranza, utilizzando proprio questo cambiamento tecnologico come leva dei processi interni. Poi è arrivato il 3D, che ha dato vita ad una vera e propria generazione nell’area dei designer che era­no abituati ad utilizzare la matita, la creatività e le idee, meno l’applicazione tecnologica. In altri settori invece questa innovazione ha avuto facile presa. Mi riferisco all’automotive, all’architettura, al design… Nel fashion in realtà il processo è stato meno fluido, forse perché la difficoltà maggiore è legata al simulare il comportamento dei tessuti…».
La fusione tra il design e la tecnologia quanto ha influito, o migliorato il prodotto finale?
«L’ha migliorato nel senso che ha tolto tutta quella fase di modifica che è sempre stata relativamente importante. Ora il processo è gestibile digitalmente prima di realizzare il prototipo con il tessuto. Aspet­to fondamentale visto che un capo è un prodotto reale che deve piacere a chi lo acquista ma soprattutto possedere tutte le qualità necessarie per essere venduto. I computer, la tecnologia sono strumenti, ma è basilare non sottovalutare che alla fine, la nostra professionalità è al servzio della progettazione di un capo che sarà sul mercato ad un giusto prezzo».
Lavorare in 3D è una soddisfazione che le ha dato modo di dar vita ad un team, vero?
«Io sono entusiasta del 3D e all’inizio di quest’anno, abbiamo creato un team che mi vede in prima linea per formare i miei colleghi. Questo ruolo ha accelerato la mia curiosità. Con il 3D sono riuscito a rinnovarmi e penso sia importante suggerire anche ai giovani di non perdere l’opportunità di restare sempre aggiornati. Da quando ho fatto il training cinque anni fa sono stato costretto a imparare l’inglese, per poter seguire la “community online” e così accedere a materiale e aggiornamenti disponibili. Il 3D è senza dubbio uno strumento facilitatore in un momento co­me quello attuale in cui l’interazione con le clienti, che ha permesso ad esempio nel lockdown di farle scegliere i loro look, si è forzatamente interrotto. L’idea innovatrice dello strumento è quella di produrre collezioni da vendere virtualmente dando così concretezza alla pro­duzione di capi espressione del concetto di sostenibilità valore per l’ambiente del fashion…».
Per concludere Daniele, c’è un sogno che immagina possa realizzarsi all’interno di questo gruppo?
«Vorrei trionfasse l’utilizzo del 3D perchè davvero rappresenta l’evoluzione. Personalmente mi affascina un’espressione inglese “look out of the box”, guardare fuori dalla scatola. Rimirare oltre in questi anni è stato un po’ il mio modo di vivere. E ho capito che questo spirito è condiviso. Ciò mi gratifica e induce ad un continuo miglioramento che rafforza la passione verso il mio lavoro».